In paesi come la Spagna, che ha ricevuto negli ultimi 6 anni, 4 milioni di immigrati, giornali e televisione non riportano mai la nazionalità di chi commette reati. Si pubblicano solo statistiche complessive che permettono a tutti di farsi un´idea precisa dell´incidenza della criminalità fra gli immigrati, andando al di là dei singoli episodi.
Da noi si fa esattamente l´opposto. Ci sono pochi dati e molta disinformazione. “Così i Rom vendono i bambini” titolava a tutta pagina il Giornale di lunedì. Nell´interno foto di nomadi con bambini in braccio; presumibilmente si tratta di loro figli, ma l´articolo fa pensare a tutt´altro. Leggendolo si scopre che si tratta di un´indagine in corso da mesi e già ampiamente trattata dai quotidiani, che coinvolge sei “zingari” e due genitori italiani.
Questi ultimi hanno commesso forse il reato più grave: vendere i loro figli. Eppure sono assolti in partenza perché “poverissimi”, pescati dai Rom tra “paesi sperduti tra le montagne e le periferie più degradate del napoletano”. I Rom, che al contrario hanno notoriamente vita agiata, sono già condannati, e senza appello, come “ladri di bambini”. Tutti i Rom, come si capisce dal titolo. L´indagine non si pone la prima domanda che a ognuno di noi verrebbe spontanea: ai Rom non mancano certo i figli e sono spesso molto più poveri degli italiani. Se davvero fossero tutti coinvolti in un traffico illecito di bambini, perché dovrebbero vendere i figli degli italiani anziché cominciare dai tanti bambini che vengono nutriti e accuditi nei campi nomadi?
I toni del Giornale preparano il terreno per i provvedimenti che il Governo oggi potrebbe varare per decreto rendendoli vigenti fin da subito. Si tratta del reato di immigrazione clandestina, caldeggiato dal Ministro Maroni, o dell´aggravante di pena per i clandestini, su cui parrebbe d´accordo non solo l´intera maggioranza, ma anche parte dell´opposizione. Entrambi i provvedimenti accettano il principio secondo cui una persona può essere giudicata diversamente da un´altra solo per il fatto di essere di una nazionalità (o etnia) diversa. E´ un principio non solo aberrante, ma anche socialmente pericoloso. Queste norme non serviranno neanche a ridurre le giuste preoccupazioni degli italiani per la loro sicurezza.
Il principio è socialmente pericoloso perché non dissuade gli immigrati dal commettere reati, ma al tempo stesso ne ostacola l´integrazione nel nostro tessuto sociale. Non c´è deterrente, perché le norme che innalzano drasticamente il numero di immigrati incarcerati sono oggi semplicemente inapplicabili. Le nostre carceri si sono già tornare a riempire dopo l´indulto e non è comunque possibile istruire processi per i disperati sans papier che approdano sulle nostre coste o attraversano clandestinamente le nostre frontiere. Si tratta, dunque, di norme simboliche. Ma non per questo sono innocue.
Il trattamento penalmente differenziato degli immigrati clandestini sancisce un´asimmetria di trattamento indipendente dal loro comportamento: per quanto si sforzino di integrarsi e di rispettare le nostre regole, saranno comunque trattati più severamente degli altri. E non possono regolarizzare la loro posizione almeno fino al prossimo decreto flussi, che si annuncia ancora più restrittivo del precedente. Si alimenta così un circolo vizioso di illegalità che alimenta ulteriore illegalità purtroppo ampiamente sperimentato non solo da noi. Chi è costretto a rendersi invisibile vive in ambienti in cui c´è meno sanzione sociale contro l´illegalità, in cui si è maggiormente a contatto con i criminali di professione. Il fatto di sentirsi comunque trattato peggio degli altri riduce ulteriormente le inibizioni a compiere atti illegali nel paese in cui si vive.
Sono fatti documentati. Contribuiscono a spiegare perché la criminalità tra gli immigrati clandestini sia più alta non solo che fra gli italiani, ma anche rispetto agli immigrati regolari.
I provvedimenti che “non danno scampo” agli immigrati irregolari, che tolgono loro ogni prospettiva di integrazione, rischiano perciò di alimentare ulteriore illegalità. E sono troppi gli irregolari per pensare che se ne andranno dal nostro paese. Dunque non serviranno neanche a tranquillizzare gli italiani, la cui paura si basa anche su dati obiettivi. C´è stato, infatti, un incremento di alcuni reati (tra cui rapine in banca, traffico di stupefacenti e omicidi) subito dopo l´indulto e sono stati non pochi gli immigrati (circa 7.000) scarcerati con l´indulto.
Abbiamo così offerto un segnale di lassismo non solo a chi era già in Italia, ma anche a chi ci stava guardando da paesi che provengono da anni molto bui, in cui una fetta consistente della popolazione ha vissuto, giorno per giorno, la violenza e la disperazione. Tutto questo rischia di avere attratto da noi immigrati più propensi ad attività criminali che altrove. Gravissimo non avere pensato a questi effetti dell´indulto quando è stato varato due anni fa.
Se c´è una strada ora per ridurre la criminalità tra gli immigrati e la stessa immigrazione clandestina, questa consiste nel rendere maggiormente applicabili le pene, nel reprimere la criminalità di ogni tipo. Questo significa costruire nuove carceri e, se costretti nuovamente a provvedimenti di scarcerazione, essere questa volta selettivi, evitando in tutti i modi di mettere in libertà chi ha commesso i reati con il tasso più alto di recidività. Bene anche potenziare i controlli sui luoghi di lavoro: serviranno a ridurre al contempo la piaga del lavoro nero, gli infortuni e l´immigrazione clandestina, dato che si passa la frontiera una sola volta, mentre si viene da noi clandestinamente con l´obiettivo di andare a lavorare tutti i giorni. Infine la lotta alla criminalità fra gli immigrati la si fa anche puntando all´integrazione dei figli dei clandestini.
I dati sembrano incontrovertibili: alla seconda se non alla terza generazione, gli immigrati che sono andati a scuola nel paese che li accoglie hanno lo stesso senso di identità e appartenenza nazionale di coloro che hanno nonni e genitori nati in quel paese. Tutti gli immigrati, di tutte le nazionalità e religioni. La scuola è un potentissimo fattore di integrazione. Bene che ci pensino quei consiglieri comunali che a Milano o in Veneto chiedono di chiudere le scuole ai figli degli immigrati.
(la Repubblica, 21 maggio 2008)