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Guardare di sfuggita, cioè gettare appena uno sguardo su di lei, e poi tornare a fissare lo sguardo sulle pieghe e sulla luce e incontrare il suo sguardo è propriamente ciò che accade quando non è sufficiente uno sguardo di sfuggita per fermare l’istante eterno. Quell’apparire, infatti, non è uno dei tanti momenti del vivere. E’ istante. Un nunc che si prolunga oltre il tempo meccanico, per farsi Darstellung, costellazione di senso, meglio ancora: Jetztzeit, il tempo-ora del nunc come presente non puntuale, non il tempo breve in cui si scioglie, si risolve un battito d’ala, l’aprirsi e chiudersi delle palpebre. Non un semplice moto inconsapevole è ciò che viene fermato dallo sguardo indagatore che torna e torna a scrutare, a leggere, a succhiare da quel volto ignoti piaceri. Quell’ora non è l’oggi, l’attimo detto fuggente, quasi occasione da non perdere! Cosa potrebbe mai andar perduto della bellezza del suo volto i cui segni sono depositati da sempre nella memoria del mio sguardo!
Il mio sguardo, infatti, non è atto principiale fatto di stupore, quello che si dette il primo giorno che non fu giorno, che non fu primo. Quale inizio dello sguardo, poi, è possibile che non sia una rimembranza di cose già viste, autentico Andenken, rammemorare, appunto, cioè ricostruire frammento su frammento l’unità del suo volto, cioè natura e storia, progetto e destino?
E se poi considerassi il primo sguardo, quello che si posò timidamente su di lei, senza osare troppo, quasi a voler attendere che fosse lei a dire sì al mio sguardo, perché chiedevo che si offrisse allo sguardo, lasciandosi semplicemente contemplare, avendo io gli occhi leggermente spalancati su di lei, per far entrare ogni senso di lei, dal profumo leggero che emanava la sua pelle alla voce, alle movenze aggraziate del corpo flessuoso, qua e là coperto da facili veli; se riconsiderassi quel suo sguardo non avvertito di me, dovrei concludere malinconicamente che non si accorse di me.
Lei non sostenne il mio sguardo, fermandosi a leggere me. Per questo, io forse cercai ancora. Io forse mostrai ancora occhi spalancati su di lei, sì, proprio su di lei. Le dicevo: sì, proprio su di te. Lo sguardo insistente, infatti, dopo uno sguardo di sfuggita o uno sguardo timido cos’è ancora, se non chiedere il suo sguardo, e volere che sostenesse il mio, tremante, come me, senza cadere, perché, come mi disse poi lei, quando temeva per me: Non cadere / con te cadrebbe il mondo / e Beethoven piangerebbe con me…?
Questo noi vogliamo. E’ questo l’eterno in terra della bellezza dell’amore. Uno sguardo che sostenga per sempre il nostro, che sappia durare sempre, capace di non cadere, vittima del ricordo, preso nella malinconia del così fu.
Qui non si dà più caducità delle cose né tanto meno della bellezza. Le rughe del tempo sono invisibili allo sguardo, che è proteso a cogliere sempre di nuovo nell’istante eterno il suo sguardo, garanzia di eterno per noi, gli eterni.
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