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Nostalgia del padre? E a che scopo? Per lenire ferite private?
Io ho avuto un padre. Egli mi ha riconosciuto. Io l’ho riconosciuto. Egli mi ha amato sempre. Io l’ho amato sempre. Egli era pieno di difetti. Io piangevo da solo e mi dicevo: «Tanto, io ti voglio bene lo stesso!». Così mi sono salvato. I figli che non sono capaci di fare altrettanto non sono figli: si limitano ad usare i loro padri come bancomat. Per correre a sbronzarsi di nascosto.
Oggi sembra che non si possa parlare di padri. Sento solo dire che sono assenti. (Le madri si separano dal padre, si impossessano del figlio, assumono l’esclusiva della sua educazione, ostracizzano il padre, che deve rinunciare alla sua voce; mettono a tacere le ragioni del padre, con il quale non concordano l’educazione dei figli; ricorrono al ricatto degli affetti per ergersi a fonte esclusiva dell’amore: chi più di loro comprende il figlio che esse sole hanno generato? La separatezza è la fonte dell’errore, della distanza tra padri e figli; è la causa del loro disagio, del disorientamento morale, del venir meno della capacità di dare senso alla vita.) La putrefazione morale di questa civiltà senza legge, senza principi, senza futuro può fare bene a meno dei padri.
Il modello materno-infantile del consumismo è tutto. L’anima è malata di questa voluttà. Aspira a comprare, a spender soldi. Dovunque io vada, scopro che il denaro cura tutti i mali, tranne il cancro. Anche l’amore avanza solo se ben sostenuto da significative quantità di euro.
A questa società che si accontenta di piccoli orgasmi televisivi vorrete proporre sacrifici e rinunce? E a che scopo? Per renderla migliore? E’ già migliore. E’ ottima.