Quando mi dirigo fisicamente verso l’altro, come quando lo interpello con la voce e con i gesti, è verso una persona che oriento le mie intenzioni. Ciò che si staglia davanti a me non è un mero corpo, cioè un organismo, la sintesi psicofisica di soma e psiche. Mi appare un oggetto fisico che non è un semplice oggetto tra gli altri. Esso condivide con gli oggetti della natura particolari caratteristiche ed aspetti che diventano oggetto di studio delle scienze più diverse. Tuttavia, nessuna delle scienze esatte esaurisce l’oggetto né aspira a farlo. Se vorremo sapere chi sia la persona che ci viene incontro, non interrogheremo nessuna delle scienze della natura. Non potremo fare appello, d’altra parte, nemmeno alle scienze dello spirito. Siamo soli di fronte all’altro. Tutt’al più verranno in nostro soccorso le reminiscenze dello studio delle scienze umane, che ci guideranno per un po’ nel cammino incerto che conduce al cuore della cosa stessa, a quella natura che vogliamo comprendere e che non si dà come un ‘semplice’ fenomeno della natura. Sotto il nostro sguardo cade un individuo che è un intero, cioè la risultante di caratteristiche e momenti che lo fondano, che ne istituiscono l’identità.
Se la foresta dei simboli della nostra cultura ci disorienta, non è da meno la congerie delle idee e delle teorie che si affollano nella nostra mente e che non ci aiutano a decidere cosa ci sia da fare tutte le volte che la nostra realtà umana entra in contatto con la realtà umana dell’altro. Oscilleremo tra la considerazione della realtà fisica, corporea dell’altro e l’immateriale che lo fa muovere, che gli dà voce e senso. In tutte le vicissitudini della nostra esistenza ci appelleremo ora al corpo, ora all’anima. Ci dedicheremo all’educazione del corpo e della mente dell’altro, quando ci sia affidato nelle istituzioni educative, prima ancora nella famiglia che avremo creato. Cercheremo il nutrimento della persona nel cibo e nella cultura. E attenderemo una risposta.
E’ indubbiamente complesso – e a parer nostro ‘completo’ – il lavoro che riserveremo alla cura dell’altro. Non tralasceremo nulla che possa venirci in soccorso per corrispondere ai bisogni materiali e spirituali di un figlio, di un alunno, di un cittadino che ci vengano affidati o che si rivolga a noi in cerca di cure.
Eppure, non tarderemo tanto a scoprire che non poche volte i nostri sforzi sono vani, che non raggiungono per niente l’altro, che sono al di sotto delle sue attese. Allora moltiplicheremo i nostri sforzi. Accresceremo attenzione e interesse. Affineremo strumenti e metodi. Svilupperemo abilità e competenze. Per servire l’altro al meglio, per soddisfare appieno bisogni insopprimibili e nondimeno quelli superflui, perché egli esca dallo stato di indigenza, dalla mancanza che è costitutiva della condizione umana. Produrremo ‘ricchezza’, abbondanza di beni di ogni sorta. Forniremo i mezzi per l’emancipazione dall’ignoranza personale. Promuoveremo autonomia linguistica e morale, libertà, consapevolezza. Cercheremo di dare la felicità, anche se sappiamo che non è in nostro potere elargire un dono così grande.
Al di là e oltre l’agire disinteressato dell’amicizia e dell’educazione, contratteremo quotidianamente il significato del mondo, per dare senso a una realtà sostanzialmente estranea che ci adopereremo a far sì che diventi una realtà durevolmente condivisa. Introdurremo file di continuità per dare senso alle cose e alla nostra presenza nel mondo. Ci disporremo in ascolto. Interrogheremo e cercheremo risposte al nostro inquieto domandare. Attenderemo sempre una risposta.
La risposta verrà da un’altra persona, che dovremo comprendere, a cui dovremo dare un significato e un valore, con cui compiremo gesti, azioni, atti. A cui parleremo e che ci parlerà. Ma che, soprattutto, si mostrerà a noi oltre il suo mero apparire. Occhi, sguardo, voce, volto ci parleranno. L’altro si esprimerà con tutti i sensi di cui dispone e noi dovremo ‘tradurre’, interpretare il suo ‘dire’, penetrare l’invisibile da cui provengono voce, sguardo, volto. Questo lavoro di comprensione della realtà dell’altro è ciò che ci si presenta come compito tutte le volte che usciamo di casa e che andiamo incontro al mondo. Vorremmo essere sostenuti da un sapere dato, magari acquisito a una scuola dello sguardo che valesse per noi e per l’altro; che ci fosse possibile, insomma, comprendere sempre senza errore, per consistere nel mondo senza incertezze ed esitazioni, sicuri del nostro dire e del nostro fare, ma soprattutto certi dell’esattezza delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti, dei nostri giudizi.
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