CAMMINARSI DENTRO (131): Stabat mater. Mentre un figlio muore.

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La settimana passata è stata segnata da due avvenimenti simili: un colloquio chiarificatore – nel Centro di ascolto – con una madre che ha imparato a non piangere; l’incontro – a casa sua – con una madre a cui è morto il figlio tossicomane, e che non piange.


Il pianto di una madre di fronte a un figlio affetto da eroinopatia non solo non sortisce alcun effetto – dunque, è inutile -, ma è ‘sbagliato’ nelle intenzioni, prima ancora che nella meta. Quel pianto, infatti, sembra chiedere commiserazione. La madre pensa che un figlio comunque proverà un sentimento tale che lo spingerà a non far soffrire sua madre. Egli, dunque, si fermerà, cesserà di abusare delle sostanze stupefacenti. Pur in assenza di ‘risultati’, lei persisterà nel suo atteggiamento, perché convinta del suo schema interpretativo. In realtà, non fa altro che commiserarsi. Il suo sentimento di autocommiserazione è al sotto di ciò che la situazione richiede: è solo lei che prova compassione per sé; suo figlio non è in condizione di provarne, e quand’anche ne provasse, non saprebbe ‘fare’ ciò che la madre si aspetta da lui. La gravità della sua malattia non gli consente di fare se non ciò che fa già.

All’inizio della mia esperienza di volontario scrissi sul frontespizio del primo progetto educativo: «… perché la Verità è al di sopra di ogni commiserazione» (Maksim Gorkij). Oltre il pianto, si dà l’unica verità di una comunicazione interrotta. Illudersi che piangere possa servire a scuotere un figlio che non è più padrone della propria volontà è sbagliato. E’ quello che si chiama non provare un esatto sentire. Occorre ‘sentire’ altro. Bisogna armarsi per proteggere e difendere la vita in pericolo. Prima che sia tardi.

Ieri sono stato a casa di una madre. Suo figlio Fabrizio è morto misteriosamente nel Carcere di Frosinone. Nella cella che divideva con un fratello affetto dai suoi stessi problemi. Per oltre due ore la donna ha raccontato il suo Calvario e mostrato testimonianze dell’umanità grande di suo figlio. Non ha pianto per niente. Per lei, si avvicina il giorno dell’ira.

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