Dopo ogni lungo peregrinare, quando si sia avvistata la riva, o al culmine dell’ascesa, quando sia possibile scrutare tutto il paesaggio alle proprie spalle, se i nostri occhi vedono con chiarezza il cammino fatto e quasi ogni tappa conserva intatto il significato di sempre, a dispetto di sviste ed errori, non importa quanto grandi, si ha la sensazione di un compimento. Le cose sono al loro posto. Sembra quasi che non ci sia più da decidere cosa significhi questo o quell’avvenimento. L’ordine del cuore coincide con l’ordine delle cose.
E’ uno di quei giorni in cui non mi prende la malinconia, e fino a sera spero di non vederla più, perché l’assedio della tristezza, anche se piccola, a volte toglie il gusto di vivere. Debbo essere lieto di essere giunto a questo compimento. Sembra quasi che non ci sia più da studiare e studiare, per dare un senso alle cose. L’insensatezza del mondo è chiara. Come è chiaro il metodo da adottare ancora, per impedire che prevalga il fascino della dissolvenza. La sobrietà della mente, da sempre praticata, è oggi facile da ottenere, quando, al mattino, mi sveglio e cerco di dare un senso alla mia vita: scopro che essa lo possiede già. E’ forse nell’aver ben vissuto. Sicuramente, è nella mitezza dello sguardo con cui tendo alle cose e con esse alle persone.
So di essere stato un insegnante e di aver lasciato la scuola senza rimpianti e senza alcun rammarico, per occasioni mancate. Ho amato tutti i giorni il mio lavoro, fino al punto che mi sento ancora un insegnante, anche se non lo sono più attivamente. E’ bello essere chiamato ancora ‘professore’, quando esco di casa. Per me è il più alto riconoscimento. Sento che le persone assegnano a quel mio titolo un valore anche morale. Per aver amato i ragazzi e per averli aiutati ad imparare a leggere e a scrivere.
So di essere stato per 21 anni accanto ai ragazzi affetti da tossicomania. E’ una parte della mia identità questo scendere, che è crescere in consapevolezza ed umanità. Ho imparato lungamente ad inchinarmi di fronte agli altri, per potermi innalzare fino a loro. Cercando di salvare loro, in realtà mi sono salvato io. Cioè, sono riuscito ad aprirmi sempre alla speranza, a guardare oltre la terra calpestata nel ‘qui’ ed ‘ora’.
Ho conosciuto sempre la gioia di vivere. Solo oggi, purtroppo, scopro la malinconia e non comprendo se dipenda dalla vecchiaia incipiente o dalla vita che lentamente se ne va. Che mi abbandona. Sempre chiaro è il compito che si deve combattere la malinconia, perché il passato non precipiti nel ‘così fu’: anche le memorie personali debbono essere salvate, magari scrivendo di esse, lasciando che la ferita beante lasci emergere un vissuto lieto o triste. Niente vada perduto del magma che preme. E’ stato detto che si scrive con il desiderio e che non si smette di desiderare. Onore a chi tiene in vita il nostro desiderio di vivere!