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- 1982 – CARLO MICHELSTAEDTER, La persuasione e la rettorica, ADELPHI
- 1988 – ROBERTA DE MONTICELLI, Il richiamo della persuasione. Lettere a Carlo Michelstaedter, MARIETTI
- 1992 – MASSIMO CACCIARI, Interpretation de Michelstaedter (pag.63) e La lutte «sur» Platon. Michelstaedter et Nietzsche (pag.87), in DRAN. Méridiens de la décision dans la pensée contemporaine, EDITIONS DE L’ECLAT, traduit de l’italien par MICHEL VALENSI [seguire i link: l’opera è a disposizione integralmente]
- 1992 – ALBERTO FOLIN, L’Inizio va in francese, l’Unità 9 marzo 1992 Arriva Dran: quando Cacciari sceglie Parigi
- 1995 – La persuasione e la rettorica di Carlo Michelstaedter, di ALBERTO ASOR ROSA, contenuto in: Letteratura italiana Einaudi. Le opere – Vol. IV
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«Persuasione» è il tentativo, sempre vanificato dalla manchevolezza irriducibile della vita, di giungere al possesso di se stessi: «Persuaso è chi ha in sé la sua vita».
«Rettorica» è l’apparato di parole, di gesti, di istituzioni con cui viene occultata l’impossibilità di giungere alla «Persuasione».
Michelstaedter sceglie questa epigrafe per la sua opera: «so che / faccio cose inopportune e a me non convenienti» (SOFOCLE, Elettra, vv. 617-618). Sergio Campailla, curatore dell’edizione Adelphi, spiega tra le Note: “Con queste amare parole la matricida Elettra si rivolge alla madre Clitennestra”.
Michelstaedter sa bene, come d’altronde Wittgenstein, che l’autenticità si sottrae alla parola; sa che nel momento in cui la «cosa» viene pronunciata, cadendo sotto il dominio della «Rettorica», entra nella mutevolezza del divenire, perdendo il suo carattere di autenticità «persuasiva». La «Persuasione» smarrisce la sua assoluta pienezza. Ma, a differenza di Wittgenstein, egli non sa risolversi nel silenzio: l’idea – come per i mistici – resta un punto fermo nel suo pensiero, un modello etico e ontologico insieme, la cui irraggiungibilità non annulla il fare, ma ne sottolinea tutto l’aspetto tragico: «Ogni tentativo di “parlare” della persuasione si rivela intrinsecamente antinomico. Eppure, ciò deve essere fatto: drân, fare – verbo tragico per eccellenza, che indica non il fare nella sua discorsività quotidiana, ma l’istante, l’acmé supremo della decisione, il culmine dell’azione, dove il carattere dell’eroe emerge pienamente, irreversibilmente» (Folin).
[Post in progress: pubblicato per dare un’idea del mio modo di procedere, delle scelte tematiche, del carattere enciclopedico e ipertestuale che assumerà il Blog. Potrebbe bastare anche questo post: in esso compariranno tutti i riferimenti ipertestuali indispensabili per dire ciò che conta oggi]
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