Non aprite quella porta

Non aprite quella porta

Furio Colombo – L’Unità

Dichiarano lo stato di emergenza nazionale all’improvviso, con frivola incompetenza e salda fede leghista.
Pretesto: una invasione di immigrati (succede sempre d’estate, con il mare calmo) che tormenta sempre la fantasia malata della Lega Nord e del ministro Maroni, uno che ha giurato fedeltà alla Lega prima che alla Repubblica italiana.

Realtà: poter disporre del diritto di arresto, deportazione, creazione di nuovi campi, forse intenzione di fermare in mare le imbarcazione disperate.
Come vedete un’emergenza c’è ed è per quel che resta di civile, di umano, di democratico nell’Italia governata da Berlusconi.

Non è solo un brutto film quello che stiamo vivendo e di cui siamo quasi tutti comparse. È anche un film fuori sincrono, nel senso che sono oscure le parole, sono oscuri i fatti. Ma anche così, anche a condizioni minime di rappresentazione e narrazione della realtà, viviamo in un pauroso fuori sincrono. È l’effetto che certe volte accade, con disorientamento del pubblico, nella proiezione di un film: colonna sonora e immagine non corrispondono. Il risultato è: guardi la scena e non riesci a credere né alle parole né alle immagini. Per esempio, un ministro della Repubblica, titolare di una funzione chiave nel governo italiano (ministro delle Riforme) dedica gesti e parole volgari a un simbolo istituzionale (l’inno della Repubblica italiana) denigra in modo stupido gli insegnanti italiani del Sud (uno di loro è accusato di avergli bocciato il non geniale figlio), ma soprattutto pronuncia queste parole: «Contro la canaglia romana quindici milioni di uomini del Lombardo-Veneto sono pronti a farla finita».

In altre parole un ministro della Repubblica, eletto con voti secessionisti e portato a Roma da un premier senza scrupoli, a cui conviene la confusione che copre l’illecito, parla da secessionista con l’autorità di Ministro del Paese che occupa e disprezza, e con cui intende «farla finita». È lo stesso ministro-chiave insediato nella capitale italiana ma capo di una forza violentemente anti- italiana, che pochi giorni prima incitava la nazionale di calcio della «Padania» nel «campionato degli Stati non riconosciuti».

La Padania è infatti uno di quegli Stati. “Non riconosciuti” vuol dire non ancora liberi. Infatti, in quella occasione il grido di Bossi era un rauco “Padania” al quale la sua folla doveva rispondere con l’urlo “Libera”. Una manifestazione secessionista da fuori legge, e certamente incompatibile con l’immagine, benché logora e screditata, di Ministro della Repubblica. È chiaro a tutti che si tratta di un gesto pericoloso contro il quale, ti immagini, si rivolta con indignazione la classe dirigente di un Paese. Sono questi i casi in cui si può verificare un serio e vero sentimento trasversale di condanna, di presa di distanza, di separazione da una visione così bassa e così irresponsabile della vita pubblica italiana da parte di un garante (un Ministro importante) della vita pubblica italiana.

Dopo tutto si tratta della stessa classe dirigente occupata per una decina di giorni in una staffetta di condanne esterrefatte e continue dedicate all’ormai celebre «delitto di piazza Navona», rispetto a cui impallidiscono altri fatti – pur duri- della cronaca nera italiana. Ma in piazza Navona affermazioni immensamente discutibili (che personalmente ho scelto di respingere subito) erano state fatte da due comici, celebri e popolari, certo, ma liberi da responsabilità istituzionali. Eppure non c’è confronto. Entro giorni due (due) i più autorevoli giornali e telegiornali italiani potevano scrivere e dire «archiviata la questione Bossi». Archiviata quando, da chi? E come è possibile che si sia rapidamente condonato come «colore» il gesto volgare contro l’istituzione e l’appello alla rivolta da parte di un Ministro della Repubblica?

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«Archiviato» anche il problema giustizialista (ovvero di implacabile persecuzione delle compatte forze giustizialiste) di Silvio Berlusconi. Sentite il titolo (un titolo esemplare ma certo non il solo): «Tolto il macigno giustizia, niente più alibi per le riforme» (il Messaggero, 24 luglio). Un intervistato del Giornale Radio 3 (ore 8.45 del mattino del 23 luglio) ci spiega anche meglio: «È venuto anche meno l’alibi dell’antiberlusconismo giudiziario».

Come dire: chi, d’ora in poi, si sottrae a un fitto e proficuo dialogo sulle riforme, non ha ragioni e indignazioni da invocare, perché il grande imputato non ha più problemi con la giustizia. Ognuno di quei problemi, compreso il processo Mills, con la pesante imputazione di corruzione giudiziaria, è stato allontanato da Berlusconi con una legge fatta per Berlusconi dall’ex segretario privato di Berlusconi, divenuto Ministro della Giustizia, in consultazione accurata e continua con gli avvocati di Berlusconi.

Il quadro è rappresentato con triste umorismo dal vignettista Giannelli sulla prima pagina del Corriere della sera del 24 luglio: Berlusconi, vestito da mago, salta sul collo del Presidente della Repubblica e, profittando di quella elevazione e di quel livello che di suo non possiede, brandisce la bacchetta magica dell’autoritarismo ormai senza limiti.
Immagino la dispiaciuta amarezza con cui il Presidente Napolitano avrà guardato quella vignetta. È ciò che è accaduto: comporre un «pacchetto di immunità» nel quale il più onesto e disinteressato degli italiani (vedere la sua vita, prima ancora della sua carica) si trova stretto accanto all’italiano più noto nel mondo per il suo attivo, aperto e smaccato conflitto di interessi nei confronti e a danno dello Stato che governa; e per le sue innumerevoli imputazioni, che hanno indotto la rivista finanziaria inglese The Economist ad aprire con il titolo di copertina a piena pagina «Mamma mia!».

In altre parole, Berlusconi imputato, per liberarsi dal più rischioso ed imminente dei suoi processi, ha formato una scorta composta dalle tre più alte cariche dello Stato. Due saranno forse state consenzienti, per amicizia o solidarietà o affinità. Ma il capo dello Stato, un uomo che – per esempio – l’opinione politica repubblicana e democratica degli Stati Uniti ha stimato e ascoltato fin da quando era esponente del Partito Comunista italiano, adesso, appare inserito dentro una legge-ricatto. Di essa il Capo dello Stato non ha alcun bisogno a causa delle prerogative istituzionali che disegnano il suo ruolo, al di sopra (ma anche estraneo) rispetto ad ogni altro ruolo.

Ecco in che senso è inevitabile, in questi giorni, pensare con sostegno, amicizia, solidarietà al Capo dello Stato. Ci sono cittadini che cadono nella trappola di Berlusconi o in quella dell’antipolitica e che dicono: «Andiamocene via. Sono tutti uguali, sono tutti la stessa gente». Oppure provvedono i pr di Berlusconi a farvi credere: «Non c’è differenza fra noi e il Quirinale. Vedete? Siamo tutti nello stesso pacchetto di immunità». Tocca a noi dire che la figura del Capo dello Stato non si confonde, non si identifica e non ha niente a che fare con un meccanismo un po’ ignobile pensato e usato come trappola, e che il giurista Carlo Federico Grosso ha definito «il male minore».

«Ma è il male minore all’interno di una strategia fondata sulla continua minaccia di un male peggiore» (La Stampa, 25 luglio). È una trappola che in apparenza funziona perché il formalismo giuridico del ruolo presidenziale (immaginato per un Paese normale in cui tutte le altre cariche dello Stato sono pulite e non hanno la giustizia alle calcagna) richiede di firmare ciò che nella forma appare legale (dopo l’approvazione delle Camere) e costituzionale (dopo le precauzioni cosmetiche per far apparire vivo un cadavere giuridico).

Naturalmente stampa e tv in servizio permanente effettivo per il premier-padrone-imputato, sanno il loro mestiere. E dedicano alla firma, inevitabile e dovuta, (in attesa del giudizio della Corte Costituzionale) del Presidente della Repubblica, minuti di tv e pagine di giornali. E sono pronti a trasformare in scandalo riflessioni come quelle proposte da Antonio Padellaro su questo giornale. Che significano: non lasciamo solo il Capo dello Stato con questa legge grave e ben congegnata. Il Capo dello Stato è l’alibi e l’ostaggio che dobbiamo negare a Berlusconi. Allo stesso modo, insieme con Padellaro mi sento di dire – finché riusciamo a dirlo -: non lasciamo soli i cittadini che hanno fiducia nella legge, nella Costituzione, nel giusto processo, nella informazione libera e responsabile, nel Capo dello Stato come garanzia.

Un popolo democratico, nei momenti di allarme, non cerca il dialogo con chi ha provocato l’allarme. Lo cerca con il suo punto alto di riferimento. Si volge in modo naturale verso il Presidente della Repubblica. Come può essere un problema, o anche solo un segno di poco rispetto, questo spontaneo voltarsi di tanti cittadini verso il Presidente, mentre intorno volano insulti, minacce, volgarità di governo, promesse incalzanti di fare peggio, sia con la violenza fisica (Bossi) sia con leggi ancora peggiori (Berlusconi)? È naturale, nel cuore di una democrazia che non vuole spegnersi nonostante Berlusconi, cercare orientamento e risposta. Un’opinione pubblica fiduciosa è il più alto sostegno della democrazia. Una opinione pubblica allo sbando, o nella trappola dell’antipolitica è un grande pericolo.

Rompiamo l’antica abitudine delle istituzioni a parlare solo alle altre istituzioni. Ci sono milioni di cittadini che non vogliono essere mandati a casa dalla antipolitica che vede tutti uguali a tutti. Ma vogliono essere parte viva di una stagione di speranza, fatta di informazione, mobilitazione, partecipazione.

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Nel frattempo il cielo della Repubblica è solcato da messaggi misteriosi, sullo sfondo di scenari che richiederebbero un libero sistema di informazioni e un sistema politico (Camera e Senato) funzionante. Ma la Camera e il Senato sono l’altro grande ostaggio della paralisi imposta al paese dagli interessi di Berlusconi.
Ecco alcune domande che, stranamente, non sono diventate né materiale giornalistico, né spunto per una inchiesta approfondita.

1 – Chi stava parlando con chi, a nome di chi, e a proposito di che cosa, quando all’improvviso è stata lanciata una non credibile, non plausibile accusa a Fassino e a Nicola Rossi? Nel senso tetro della parola, è un gioco. Ma che gioco è, e chi sono i giocatori, e quale è la posta? Proprio perché l’insinuazione appare subito campata in aria, è evidente che si tratta di un imbroglio deliberatamente organizzato, la falsa pista di tutti i thriller. Restano le domande: che si è messo in moto? Perché adesso, in termini tanto pesanti, destinati a provocare tumulto e scandalo ma anche distrazione? È chiaro che tutto è inventato in questa storia. Ma non è una svista. È urgente decrittare il gioco, intercettare il percorso, e identificare gli autori. Dopo tutto siamo al centro della più grande vicenda di spionaggio politico mai realizzato con strutture private nel mondo occidentale.

2 – A Napoli è scomparsa la spazzatura. Manca una certificazione indipendente. Deve bastarci la parola? Ma chi si ricorda il numero di migliaia di tonnellate da smaltire dovrebbe esigere di sapere, prima di rendere il dovuto onore al successo: dove è finito l’ammasso di anni e anni di spazzatura nel miracolo della pulizia fatta in soli 80 giorni? Tutto è possibile, ma deve dirci come. Per esempio, dov’è finita la camorra, potente e presente dovunque? Si è arresa, è in ritiro, è in attesa, è in affari (forse altri affari)? Qualcuno vorrà aiutarci a sapere, magari per imparare e ammirare?

3 – Dialogando con Felice Cavallaro del Corriere della sera (24 luglio) Marcello Dell’Utri, ammette e anzi certifica, telefonate e incontri con due malavitosi di chiara fama, Aldo Miccichè, che opera dal Venezuela e si fa sentire con Dell’Utri per telefono, e Antonio Piromalli che, riuscendo a sfuggire alla polizia, fa una scappata nell’ufficio del senatore (13 marzo). Attenzione, non dite che «è il solito Dell’Utri, che tutte queste cose le sappiamo già e non conta più». Dell’Utri, in piena campagna elettorale, ha ricevuto un pubblico, esteso, drammatico elogio di Silvio Berlusconi, forse un vero e proprio messaggio a qualcuno.
In quella stessa occasione Berlusconi ha proclamato «eroe» il pluriomicida mafioso Mangano, per molti anni ospite di casa Berlusconi e poi morto in prigione mentre scontava l’ergastolo.

Dell’Utri è tuttora il reclutatore e organizzatore dei giovani del partito (il suo incarico si riferisce a Forza Italia. Sarà stato esteso al partito del Popolo della libertà, dunque aperto ai giovani di An?). Ed è comunque – nell’intervista al Corriere – l’autore della seguente confessione: «Miccichè voleva contattare un azienda di petrolio russa. Io sono molto amico di questi russi. È materia di cui si occupano tutti, pure io. Una cosa normale. Niente di male. Lo stesso Miccichè mi chiese di occuparsi del voto italiano in Venezuela. Io lo misi in contatto con Barbara Contini (ricordate? La “governatrice di Nassiriya”, al tempo della morte del caporale Vanzan, ndr) cioè una persona di altissimo livello che coordina questo settore».

Dunque un avamposto di potere, di governo, di maggioranza è luogo ospitale di accoglienza e smistamento di persone come Piromalli, di mediazioni d’affari come quella richiesta da Miccichè, ma soprattutto di inclusione rapida del volontario Miccichè nella campagna elettorale e nel partito di Berlusconi, attraverso l’immediata messa in contatto di un celebre e ricercato personaggio (ricercato da molte polizie) che offre affari e politica, con la dirigente («altissimo livello») del partito di Berlusconi Barbara Contini.

È bene tenere presente tutto ciò per sapere in ogni momento perché dobbiamo fare cordone e stare dalla parte del Capo dello Stato. Quando è stato chiesto ad Anna Finocchiaro, «ora che è stata archiviata la questione giudiziaria di Berlusconi, si può ripartire col dialogo?», la senatrice opportunamente ha risposto: «il dialogo non è una porta che si apre e si chiude a piacimento». Ha ragione. Infatti, se la apri, corri il rischio che entrino in scena Miccichè e Piromalli. Anche se non sei giustizialista, la normale prudenza del buon padre di famiglia ti sconsiglia di aprire quella porta.

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