La forza del desiderio

La fenomenologia come pratica spirituale (382): La forza del desiderio
Sabato 15 febbraio 2025

Voi ch’ ascoltate in rime sparse ‘l suono
di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core
in sul mio primo giovenile errore
Francesco Petrarca, Il canzoniere, 1356

Alle sorgenti della letteratura europea moderna incontriamo un testo che esalta subito l’ascolto, più che la lettura, il suono, più che la parola, il sospiro, più che l’invocazione. Diremo, senz’altro, primato del significante, assunto a registro risolutivo del dissidio interiore che lacera la coscienza inquieta del poeta. Nella tensione tra biografia ed opera, infatti, nella quale cercheremo sempre un elemento decisivo della poetica degli autori, tutte le volte che ci dedicheremo alla lettura non occasionale delle loro opere, risalta il carattere non componibile della divisione petrarchesca tra terra e cielo, amore sacro e amore profano. La ‘soluzione’ trovata dal poeta è nell’opera, nella quale i due termini convivono nel farsi voce del desiderio, in un risalire alle ragioni della Fonè, che rende visibile l’errare in cerca che è proprio del desiderio umano.

Canto di donna che si sa non vista
dietro le chiuse imposte, voce roca,
di languenti abbandoni e d’improvvisi
brividi scorsa, di vuote parole
fatta, ch’io non discerno.
O voce assorta, procellosa e dolce,
folta di sogni,
quale rapiva i marinai in mezzo
al mare, un tempo, canto di sirena.
Voce del desiderio, che non sa
se vuole o teme, ed altra non ridice
cosa che sé, che il suo buio, tremante
amore. Come te l’accesa carne
parla talora, e ascolta
sé stupefatta esistere.

Sergio Solmi, Poesie, 1950

Qui, l’invocazione aperta alla donna è evocazione del suo canto, riconoscimento di un’istanza di discorso che si fa immediata voce del desiderio: è attraverso il canto che la donna riesce a dare voce al suo desiderio. Ciò che è in questione, per noi, allora, è il raccordo ‘necessario’ tra voce e desiderio, l’assunzione del Desiderio come forza insopprimibile dell’esistere umano e il risalimento alla Voce come luogo d’incontro tra desiderio e linguaggio, nella zona dell’esperienza in cui si dà la nascita dell’individuo.

 La natura del desiderio, le sue vicissitudini e le sue aporie

Il desiderio è la marca della mancanza.

Il nostro assunto fondamentale è riassumibile nella nozione stessa di desiderio, in una natura che ne fa un primum, la radice dell’umano, se ad esso occorrerà far risalire ogni istanza spirituale, come ogni stato di coscienza, per spiegare i modi in cui le singolarità che chiamiamo persone si declinano nel mondo. In ogni gesto, azione, atto è possibile rintracciare l’istanza del desiderio. Ad esso bisognerà far risalire le condotte suntuarie tipiche delle dipendenze, come ogni forma di normale dipendenza dall’altro, anche se un maturo sentire si qualificherà sempre come saper esprimere le affezioni dell’anima come moti relativamente indipendenti dall’altro. L’approdo maggiore è costituito dalla nozione hegeliana di desiderio, ché esso viene ricondotto alla dialettica del riconoscimento da parte dell’autocoscienza: il desiderio umano, come marca della mancanza, si definisce e si ‘esprime’ soltanto rispetto all’altro.

E’ stata chiamata ingresso inaugurale della morte nella vita la scoperta del peso della lontananza, dell’assenza, della privazione, di cui fa esperienza il bambino quando vede allontanarsi la madre, non importa se per andare nella stanza accanto, per uscire di casa, o perché intenzionata ad abbandonare suo figlio, o perché raggiunta dalla morte. Nel famoso gioco del rocchetto, Sigmund Freud osservò il bambino esorcizzare quella mancanza con il lancio di un rocchetto, a cui aveva avvolto un filo, sotto un mobile, per procedere poi al movimento inverso: mentre giocava a far scomparire e a far riapparire il rocchetto, il bambino pronunciava suoni che Freud interpretò come Fort e Da. Di fronte all’esperienza della mancanza, gli umani procederanno sempre allo stesso modo, elaborando simbolicamente come perdita la semplice distanza, la lontananza, l’assenza, l’abbandono, perché separati dall’unità originaria con la madre, alla quale aspirano a ricongiungersi. Se il momento del Fort che caratterizza la manipolazione ludica della realtà, che mira ad esorcizzare la mancanza, è più ‘facile’ da gestire, si rivela problematico e complesso il momento del Da, cioè l’adozione di strategie di apparizione che valgano a far durare nel tempo chi è solo distante, assente; ad assegnare un significato simbolico alla mancanza, all’abbandono, alla perdita.

E’ costitutivo della condizione umana il riconoscimento della mancanza. I gesti, le azioni, gli atti liberi del soggetto del desiderio sono una risposta all’esperienza del negativo: da ciò che è semplicemente distante da noi fino alla perdita delle persone a noi care, non facciamo che sopperire a una mancanza. Dunque, lo statuto del desiderio, del nostro tendere inesausto al compimento della spinta ad esistere, risiede nella condizione degli umani, che hanno bisogno di nascere del tutto, di realizzare da ogni lato l’apirazione all’unità, non importa se vissuta come un ‘ritorno’ a una origine improbabile, perché ormai irreversibilmente consegnata all’esperienza della prima nascita, l’uscita dal grembo materno, o se vissuta come tensione a costituirsi come singolarità espressiva o persona.

Ogni pratica rivolta all’educazione del desiderio, perché il soggetto impari a consistere sempre meglio nella mancanza, è auspicabile: la cura di sé, la trasformazione con la presa di distanza dal proprio sé, ogni nuovo processo di individuazione, saranno benvenuti, se orientati a un esercizio che valga a far sì che non risulti danneggiato il desiderio dell’altro, per l’erranza e le aporie del nostro desiderio.

Anticipando una nostra conclusione, diremo che solo percorrendo insieme i sentieri del reciproco riconoscimento potremo rispondere produttivamente all’erranza del desiderio, al suo trascorrere metonimico da un ‘oggetto’ all’altro: è la causalità metonimica, infatti, l’origine di ogni deriva del desiderio. Esso è chiamato altrove, avverte il richiamo di altre voci, subisce l’attrazione di sempre nuovi sensi che le cose assumono. Di qui l’esperienza sempre cangiante che noi  facciamo della vita.

Per sua natura, il desiderio resta inappagato, anche dopo ogni godimento e soddisfazione delle sue ‘richieste’. Più che spiegarsi nei termini del rapporto soggetto-oggetto – che si qualifica in termini di bisogno -, il desiderio umano si definisce nella sua ulteriorità in termini di riconoscimento: a questo riguardo, è esemplare la lettura che ne dà Jacques Lacan quando interpreta un aneddoto riportato da Kant nella sua Critica della ragion pratica, per spiegare il ‘destino’ del desiderio stesso, quando sia messo di fronte a un impossibile. Tutta la prima parte del Libro VII del Seminario, che è dedicato a L’etica della psicoanalisi, mette in discussione la ‘risposta’ kantiana al seguente quesito: come si atteggerà un uomo che abbia lungamente desiderato una donna, se gli verrà concessa la possibilità di possederla per una notte, a prezzo, però, della vita? Secondo Kant, egli rinuncerebbe alle pretese del desiderio, per avere salva la vita; secondo Lacan, invece, proprio in virtù del prezzo da pagare, non importa quanto grande, il soggetto non esiterà a soddisfare il suo desiderio, eludendo quello che accadrà dopo il soddisfacimento stesso del desiderio, perché la natura del desiderio è tale che si afferma sullo sfondo di un impossibile, non arretra di fronte a nessun ‘ostacolo’.

 Dal desiderio come mancanza
alla causalità metonimica del desiderio

Se è vero che la situazione del desiderio è profondamente connessa, fissata, inchiodata a una certa funzione del linguaggio, a un certo rapporto del soggetto con il significante, l’esperienza analitica ci condurrà abbastanza lontano in questa esplorazione da far sì che troveremo tutto il tempo per servirci dell’evocazione propriamente poetica che si può farne, il che ci permetterà inoltre di capire più a fondo la natura della creazione poetica nei suoi rapporti con il desiderio.

Jacques Lacan, Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione 1958-1959, Einaudi 2016, pp.7-8

Potremmo anche dire, rispetto al titolo del Libro VI del Seminario lacaniano, che il desiderio è la sua interpretazione, che tutta l’esistenza personale è protesa alla realizzazione del desiderio, che i gesti, le azioni, gli atti degli umani non fanno altro che velare, tradurre, alludere ad esso. La scena primaria, dopo Lacan, non sarà più gioco di forze e basta: il destino del soggetto inconscio del desiderio che noi siamo si giocherà sul terreno del linguaggio.

Al cuore delle questioni teoriche sulla creazione artistica e, prima ancora, sulla costituzione del soggetto, incontriamo la teorizzazione del registro dell’Immaginario in Lacan, che definisce «l’incidenza dell’immagine nella costituzione del soggetto, quello che egli denomina come l’azione “morfogena dell’immagine”. Si tratta […] di mostrare cme l’azione identificatoria dell’immagine operi una vera e propria plasmazione del soggetto. […] Secondo Lacan la grande novità del concetto freudiano di identificazione consiste nel suo configurarsi come il luogo di un’inedita causalità psichica inconscia. L’inconscio appare come potenza causale dell’identificazione, strutturato come una serie di identificazioni. Per questa ragione l’azione morfogena dell’Imago viene eletta da Lacan alla dignità dell’oggetto specifico della teoria psicoanalitica in quanto tale, così come Galileo ha potuto fondare scientificamente la fisica sul “punto materiale inerte”. […] Lacan non accetta la contrapposizione tra “spiegazione” e “comprensione”, tra causalità e senso […]. La sua scommessa è quella di preservare la novità epistemologica della psicoanalisi che consiste nel fatto di porsi come una scienza della causalità psichica che però sappia includere al suo interno la nozione di senso. […] La psicoanalisi è una “scienza delle tracce”, […], una scienza che adotta il senso stesso come una nuova forma di causalità. […] La definizione dell’Imago inconscia – l’azione morfogena dell’immagine – come una causalità psichica […] ha come conseguenza diretta la discriminazione tra la funzione causale dell’immagine e la facoltà soggettiva. Mentre quest’ultima si configura come un’attività creativa del soggetto, la prima si pone come funzione di produzione del soggetto. L’immagine – l’Imago inconscia – non ha tanto a che fare con l’immaginazione, non è un prodotto intenzionale dell’attività del soggetto, ma è paradossalmente senza immaginazione in quanto è un fattore di eterodeterminazione del soggetto stesso; l’azione è dell’immagine sul soggetto e non del soggetto attraverso l’immagine» (Massimo Recalcati, Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Raffaello Cortina Editore 2012, pp.13-14). Lo snodo teorico maggiore, qui, è dato dal Discorso sulla causalità psichica di Jacques Lacan (Jacques Lacan, Scritti. Volume I, Einaudi 1974 e 2002, pp.145-187).

Le neuroscienze confermano il ruolo dei processi simbolici
nella vita della mente

Posto che «la mente è un processo incarnato e relazionale che regola i flussi di energia e informazioni» (Daniel Siegel, La mente relazionale), possiamo anche dire che è «il processo regolativo che crea pattern nei flussi di energia e informazioni».

«L’integrazione è il principio organizzativo che collega i vari modi in cui i flussi di energia e informazioni vengono condivisi (le relazioni interpersonali), plasmati (i meccanismi del sistema nervoso incarnato o, più semplicemente, il cervello) e regolati (la mente)».

«La mente può elaborare le informazioni in molti modi diversi; per esempio, i nostri sistemi sensoriali possono rispondere a stimoli che provengono dall’ambiente, come immagini o suoni, e rappresentarli sotto forma di pattern di eccitazione neurale che corrispondono a simboli mentali. Il cervello crea tali “rappresentazioni” a partire da vari tipi di informazioni che riguardano il mondo esterno o interno: abbiamo rappresentazioni che si riferiscono a sensazioni corporee, a percezioni mediate dai nostri cinque sensi, a idee, concetti o parole».

 Das will das Weib? Encore

Il tema che io stesso ho messo all’ordine del giorno del nostro prossimo Congresso, la sessualità femminile, è uno dei segni più evidenti della carenza di una tale elaborazione nell’evoluzione dell’analisi. Non c’è neanche bisogno di ricordare quel che Jones ha raccolto da una bocca che senza dubbio non ha nulla di particolarmente qualificato ai nostri occhi, ma che si suppone per lo meno aver trasmesso testualmente, con tutte le riserve del caso, quel che aveva raccolto dalla bocca di Freud. Jones ci dice di aver saputo in confidenza da questa persona che un giorno Freud gli avrebbe detto qualcosa di questo genere: Dopo quasi trent’anni di esperienza e di riflessione, c’è sempre un punto su cui continuo a non poter dare una risposta, ed è: Was will das Weib?Che cosa vuole la donna? Per essere più precisi: che cosa desidera? Infatti il termine will, in questa espressione, può avere un tal senso nella lingua tedesca.

Jacques Lacan, Il seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi. 1959-1960, Einaudi 2008, pag.12

Occorrerà ripetere con Freud Was will das Weib? (Nadia Fusini, Was will das Weib? Encore, Nuova corrente n.86/1981, pp. 471-490), e con Lacan rispondere Encore (Jacques Lacan, Il seminario. Libro XX, Ancora 1972-1973, Einaudi 2011).

Il Was Will freudiano, che andrebbe tradotto ‘semplicemente’ con Che cosa vuole la donna?, trova in Nadia Fusini la risposta: vuole il potere, vuole esercitare il suo potere sulla vita e sulla morte, avere l’ultima parola sul nascere e sul morire. Oltre tale assunto radicale, diremo: Che cosa desidera la donna?, per rispondere: avere dall’altro il segno del riconoscimento, che l’amore si esprima finalmente attraverso i segni, con il farsi segno del desiderio dell’altro, che la dialettica tra i sessi si faccia dialettica del desiderio, mutuo riconoscimento. Solo percorrendo insieme, infatti, i sentieri del reciproco riconoscimento, nella relazione amorosa gli umani riusciranno a superare lo storico dissidio tra i sessi che anatomia e cultura ancora anacronisticamente ripropongono.

La ‘storia’ delle relazioni fra i due sessi, illustrata da Letteratura, Antropologia, Scienze psicologiche e, oggi, Neuroscienze, è costellata, tuttavia, di fruttuose incomprensioni, mancati incontri, fraintendimenti, difficoltà nella comunicazione emozionale degli umani.

Solo l’Esercizio ripetuto di cura del desiderio personale potrà sortire l’effetto di non danneggiare il desiderio dell’altro, intervenendo sulla «fratellanza inquieta» (Nadia Fusini, Uomini e donne. Una fratellanza inquieta, Donzelli editore 1995) che contraddistingue il rapporto uomo-donna, oggi.

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