Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (241): Leggere ROBERTA DE MONTICELLI, La questione morale

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ROBERTA DE MONTICELLI, La questione morale, RAFFAELLO CORTINA EDITORE

Uomini e Profeti, Festival di RadioTre a Cervia 2011 – ROBERTA DE MONTICELLI (durata 44:26)

Questione morale: la coscienza e la libertà
con Roberta De Monticelli
Domenica 17 aprile 2011

Nessun essere umano dovrebbe mai rinunciare alla libertà della propria coscienza. Eppure quello che è il nostro bene più prezioso è anche un bene fragile, minacciato da pressioni o imposizioni esterne, come da ombre e timori sepolti in ciascuno di noi. Ne parliamo, in questo numero speciale di Uomini e Profeti al Festival di Radio 3 di Cervia, con Roberta De Monticelli, che nel suo lungo lavoro filosofico ha disegnato un paesaggio di problemi che oggi sembrano assumere un valore dirompente nel nostro paese. Sembra evidente un particolare deterioramento dell’etica…

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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (239): Sulla funzione etopoietica della scrittura

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La scrittura, come elemento dell’ascesi, ha una funzione etopoietica: essa è un operatore della trasformazione della verità in ethos. – MICHEL FOUCAULT

Reinterpretare tutta l’esperienza di scrittura alla luce delle parole di Foucault: costituisce sicuramente per me una forma di ascesi il lavoro di scavo avviato a settembre 2006, il giorno della morte di mia madre.

Il raccontarsi è senz’altro terapeutico, anche se non accenna a prendere la strada del lavoro sistematico.

Il campo da esplorare è la scrittura clinica, se non altro per accostarsi alla propria fragilità esistenziale con qualche strumento in più.

L’accesso alla verità per la via della conoscenza razionale non basta, perché non funziona.

Elemento dell’ascesi, cioè parte dell’ascesi. (Ma sull’ascesi come esercizio spirituale bisognerà tornare, per chiarire cosa significhi oggi per noi).

Scrivere è un modo per cambiare, per modificarsi, per accedere alla verità. Ma la verità a cui allude Foucault non è quella della scienza. Per me, si tratta dell’accesso alla realtà (dell’altro), all’invisibile dell’esperienza altrui. Ho ridotto a sentenza quello che penso al riguardo: La verità è il tono di un incontro (Hugo von Hofmannsthal). Se si considera, ad esempio, la qualità del lavoro delle persone impegnate nelle professioni d’aiuto, sarà facile comprendere come per noi le parole di Foucault abbiano peso e capacità di incidere nella realtà delle coscienze: quella qualità può rendere contribuire a rendere migliori le istituzioni in cui le persone lavorano.

Scrivere è Entsagung, rinuncia a dire tutto in una sola volta. Questo è veramente ciò che accade e che costituisce forse un freno per molti. Si teme, infatti, di non riuscire a dire compiutamente qualsiasi cosa: sempre di frammenti si tratta!

Quando ne va di noi, soprattutto della nostra esistenza passata – ma questa è sempre implicata nelle questioni relative alla nostra identità! – possiamo dire di poter gettare uno sguardo sulle cose che tutto illumini, tutto comprenda, tutto chiarisca?

Se ethos è un comune, se accedere ad esso, addirittura promuoverlo presso di sé e nella realtà circostante, significa contribuire al miglioramento della qualità della vita, produrre realtà (sociale), allora sì, scrivere ha un senso che va al di là del mero fare i conti con se stessi. D’altra parte, è connaturata a ogni scrittura l’aspirazione a lasciare traccia di sé. Il seme gettato apparentemente resta lì, solo presso di noi, ma anche il solo fatto della produzione delle idee attraverso la scrittura, la loro verbalizzazione, è risultato. Le vicissitudini della scrittura saranno pure affidate ai capricci della fortuna, quando non si tratti di scrittura ‘professionale’, ma resta la testimonianza della chiarezza conseguita. C’è chi ha dedicato tutta la vita al compito di restituire in modo sempre più chiaro le proprie idee. E la chiarezza è compiutezza formale. Il fine sociale, comunicativo, è tutto in questo risultato.

L’intreccio di questioni private e questioni pubbliche, cioè legate al proprio ruolo – ad esempio, quello personale di Educatore di Exodus -, rende la scrittura non mera ‘autobiografia’, resoconto di tappe e momenti dell’anima. Il mio Camminarsi dentro è nato dall’esperienza degli Educatori di Exodus, da un’idea di don Antonio Mazzi. Avrei potuto usare un’altra espressione, magari più personale. Ho preferito quella, per esaltare una parte grande della mia identità. Il lavoro sociale che svolgo quotidianamente con i ragazzi tossicodipendenti e con le loro famiglie mi mette a contatto con emozioni e sentimenti con i quali debbo ‘confrontarmi’. Su di essi rifletto dal 1989. Ho preso a riflettere sulle mie emozioni, a considerare la storia dei miei affetti; ripercorro la storia della mia famiglia; cerco altra conoscenza che mi aiuti a comprendere quello che i miei occhi da soli non vedono. La luce della conoscenza proviene a noi dall’esperienza degli altri, dai loro studi, dal loro dolore. Questa conoscenza si ‘aggiunge’ alla mia. Gli studi altrui si ‘aggiungono’ ai miei studi. Il dolore degli altri si ‘aggiunge’ al mio. Nel magma delle relazioni nasce il bisogno di scrivere, per bisogno di chiarezza. Sicuramente, da quando lo faccio, ne sono uscite migliorate le stesse relazioni umane che ho la ventura di vivere. Gli accessi giornalieri a questo sito, assieme alla diffusione in ambito ristretto di tutto quello che ho scritto sulla mia esperienza educativa, contribuiscono a migliorare le persone in cerca di luce. Fare luce su di sé e sulla realtà in cui si opera non è poco in tempi così oscuri.

Resta da chiarire di quale forma di ascesi si tratti quando si parla di scrittura.

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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (238): Leggere MASSIMO RECALCATI, L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica

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Lasciandosi inquietare dall’emergenza di inedite forme di disagio (non solo quelle che cura ormai da decenni, ovvero la bulimia e l’anoressia, ma anche altre sempre più epidemiche, come gli attacchi di panico, la depressione e gli stati-limite), ovvero dai nuovi sintomi psicotici che la società contemporanea produce in individui ormai disancorati – in termini lacaniani – da qualunque struttura significante in grado di tenere insieme Legge e desiderio, l’autore cerca di capire cosa stia diventando la psicoanalisi nell’epoca dell’evaporazione del Padre e nel vuoto lasciato dalla mancata soggettivazione compiuta in suo Nome.

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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (237): Leggere EMANUELE SEVERINO, Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia

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“RICORDARE È ERRARE.
UN LIBRO DI MEMORIE È UN ERRARE.”

Dalla filosofia alla musica, dalle battaglie contro i dogmatismi agli affetti più cari: le avventure di vita e di pensiero di uno dei maggiori filosofi italiani del nostro tempo.
Un bambino di appena quattro anni nascosto sotto il tavolo di una grande cucina, nell’attesa degli eventi che diventeranno poi la sua vita. È questa la prima immagine che appare a Emanuele Severino quando,errando tra i ricordi, riavvolge i fili della propria esistenza. Errando, appunto, perché il ricordo è di per sé falso e distratto.
Tra aneddoti e suggestioni, riaffiorano l’infanzia a Brescia e gli anni della guerra; la scomparsa prematura di suo fratello Giuseppe, arruolatosi come “volontario” sul fronte francese, e l’incontro con Esterina, “la ragazza più bella di Brescia”, che sarebbe diventata sua moglie e che è lo sfondo di queste pagine; gli studi universitari a Pavia e l’insegnamento alla Cattolica di Milano, a seguito del “maestro” Gustavo Bontadini; la controversia con la Chiesa, che nel 1970 proclamò l’insanabilità delle posizioni del filosofo con quelle della dottrina cattolica, e l’evoluzione del suo pensiero; il rapporto con i figli Anna e Federico e quello con i suoi allievi; la stesura delle sue opere e le conversazioni filosofi che con gli amici, come il sindaco di Brescia Bruno Boni, la cui ultima volontà fu di avere nella bara una copia di Essenza del nichilismo.
E i viaggi, quasi tutti con Esterina: in giro per l’Italia e per il mondo; il primo da sposati, nel ’51, in una Germania ancora distrutta, o l’ultimo, nel 2009, nell’Avana di Fidel Castro.
Il mio ricordo degli eterni è lo sguardo dell’autore che per la prima volta si posa, delicato e ironico, su frammenti della sua vita, illuminando via via luoghi, volti ed esperienze, perché “ciò che se ne va scompare per un poco. Ma poi, tutto ciò che è scomparso riappare”.

[gplayer href=”http://polser.files.wordpress.com/2011/05/eseverinoricordoeterni22mag11.mp3″]Presentazione del libro a “Che tempo che fa” del 22 maggio 2011 – “Il mio ricordo degli eterni” in formato mp3[/gplayer]
[VIDEO]

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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (236): Leggere I costi della paura e i costi della sicurezza – Due giorni di incontri e confronti sui temi dei diritti di cittadinanza, Casa della Carità, Facoltà di Sociologia, Associazione Avvocati per niente, Auditorium Università Milano Bicocca, 13 e 15 maggio 2011

Paura e sicurezza: quali politiche? Quali rischi? — Alberto Giasanti

Lo strumento delle ordinanze nel governo della sicurezza urbana — Sonia Stefanizzi (Università di Milano-Bicocca)

1° Resoconto dei gruppi di lavoro su: 1) casa e territorio – 2) minori – 3) migranti – 4) salute mentale

Legislazioni discriminatorie e uguaglianza sostanziale — Valerio Onida (corte costituzionale)

Le discriminazioni e il diritto penale — Domenico Pulitanò Stefanizzi (Università di Milano-Bicocca)

2° Resoconto dei gruppi di lavoro su: 1) salute e servizi – 2) carcere – 3) lavoro – 4) comunicazione

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Il perché del convegno

Uno sguardo agli avvenimenti contemporanei mostra una società in crisi dove sono venute meno ideologie forti e sistemi valoriali aggreganti e stanno emergendo, sulla crisi dello stato-nazione, forme di denazionalizzazione che destabilizzano le forme e i contenuti, che erano sino ad ieri familiari, delle società, delle economie e dei governi.

E’ una situazione caotica dove le diversità aumentano e si fanno più complesse e dove, quindi, per orientarsi, diventa cruciale una sorta di mediazione tra vecchi e nuovi ordini sociali come anche tra le rispettive culture di riferimento che, a loro volta, rimandano alla questione delle scelte etiche.

Ci si trova di fronte ad un mondo, con particolare riferimento alle società occidentali, nel quale è dominante una visione dualistica degli opposti e che, per ciò stesso, rende gli individui, i gruppi e le comunità unilaterali, parziali e inconsapevoli del lato negativo che viene vissuto come qualcosa di estraneo, da eliminare con ogni mezzo perchè minaccia la sicurezza delle coscienze. Bisogna quindi sbarazzarsene attraverso la proiezione del negativo sugli estranei da noi, ancora meglio se questi estranei hanno una pelle di colore diverso o sono diversi per etnia, razza, religione, nazione, genere, handicap fisico o psichico, classe sociale o qualsiasi altra differenza in quanto comunque manifestazione di una scissione.

La diversità ha in sé qualcosa che ci inquieta, che forse ci infastidisce e che spesso ci appare pericoloso così da portarci ad assumere atteggiamenti di intolleranza che ci spingono a discriminare chi non appartiene al nostro ambito familiare e che qualifichiamo come diverso da noi: migranti, neri, omosessuali, handicappati, mendicanti, zingari, pazienti psichiatrici, clandestini, senza fissa dimora, tossicodipendenti, omosessuali, donne abbandonate, minori soli, detenuti, disoccupati e così via. Tutte figure concrete di altri da noi che abbiamo interiorizzato come dei doppi malevoli in cui mettiamo la nostra parte distruttiva che, quando prende il sopravvento, scatena fantasmi non più controllabili che ci troviamo a perseguitare fuori di noi, nella vita quotidiana.

La paura della diversità sembra manifestarsi con maggiore forza soprattutto nei contesti urbani contemporanei proprio là dove le politiche locali assumono sempre più la forma dipolitiche della sicurezza che, intendendo rispondere a quelli che sembrano essere i bisogni più impellenti della collettività, istillano in realtà nei cittadini disorientamenti e angosce che producono la sensazione di non essere più in grado di affrontare i conflitti quotidiani. Si instaura così un circolo vizioso tra paura e ricerca di sicurezza dove la soluzione risulta essere l’umiliazione degli altri, considerati estranei e non cittadini.

Occorre allora mettere in atto valide strategie attraverso le quali riconoscere le diversitàdi modo che queste possano diventare valore aggiunto e non ostacolo alle dinamiche trasformative delle comunità e delle organizzazioni. Accettare la diversità è un percorsoche spesso contrasta con il senso comune delle persone che sono portate a riconoscere i propri simili e non gli estranei, ma gestire la diversità sta anche diventando la sfida cruciale attraverso la quale organizzazioni, servizi e istituzioni potranno crescere e svilupparsi creativamente, se saranno in grado di non rinchiudersi nei propri confini.

Il convegno intende affrontare la questione dei costi sociali della paura e della sicurezza, proprio a partire dai casi concreti che tutti i giorni servizi e istituzioni si trovano davanti, per riflettere insieme sulle possibili strategie di intervento, ma soprattutto per riuscire a declinare una nuova cittadinanza che si debba fondare su diritti effettivamente agiti e non solo formalmente dichiarati.

Dai casi, che i gruppi di lavoro (casa e territorio; minori; persone migranti; salute mentale e contenzione; lavoro e fasce deboli; carcere e CIE; salute e servizi, ai quali si aggiunge il gruppo di lavoro riguardante linguaggi e comunicazione) esamineranno, si dovrà passare alla valutazione dell’efficacia di quei diritti di cittadinanza che sottostanno alle prassi considerate, di modo che la promozione di una cittadinanza attiva possa concretizzarsi in una società decente e civile, nella consapevolezza che le trasformazioni significative, se non adeguatamente accompagnate nel tempo e condivise, possono dare effetti indesiderati o addirittura controproducenti.

[Dal blog di PAOLO FERRARIO, Politica dei servizi sociali: ricerche in rete]

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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (235): Leggere VITO MANCUSO, Il Corpo nella religione

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Vito Mancuso insegna Teologia moderna e contemporanea presso la facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano. Il 17 dicembre 2010 è intervenuto ad Asia Modena per il ciclo di conferenze “Il corpo sapiente”, tenendo una appassionante lezione su “Il corpo nella religione” che vi proponiamo suddivisa in quattro parti.

Il Corpo nella religione / 1: Io sono il mio corpo: statuto antinomico della verità e critica al paradigma spiritualista

Il Corpo nella religione / 2: Io non sono il mio corpo: critica al paradigma materialista e dimensione della libertà

Il Corpo nella religione / 3: Domande su etica non prescrittiva e emergenza dei diversi livelli dell’essere

Il Corpo nella religione / 4

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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (234): Leggere GIACOMO RIZZOLATTI e CORRADO SINIGAGLIA, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio

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Il cuore del libro sono gli ultimi due capitoli, in cui Rizzolatti e Sinigaglia formulano due ipotesi cruciali: che i neuroni specchio abbiano svolto un ruolo chiave nell’evolu- zione del linguaggio (perché l’area di Broca, la parte del cervello umano specializzata nelle funzio- ni linguistiche, corrispon- de a quella dove, nel cervello delle scimmie, si trovano i neuroni specchio); e che siano i «neuroni dell’empatia», quelli che ci con- sentono di comprendere le emozioni altrui (non a caso si pensa che l’autismo sia legato anche a un loro malfunzionamento). Ipotesi che, se confermate, farebbero dei neuroni specchio una vera e propria base biologica delle relazioni sociali. [dalla recensione di Nicola Nosengo] – Presentazione di F.Nobile, L.Romagnoli, A.ZanchettaRecensione di Alessandro Dell’Anna

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Dal 9 al 16 luglio Corrado Sinigaglia alle Vacances de l’Esprit – Senso di sé e potere dell’azione: la filosofia di fronte alla sfida delle neuroscienze

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Intervista a Corrado Sinigaglia

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Biografia

Corrado Sinigaglia insegna attualmente Filosofia della Scienza ed Epistemologia delle Scienze Umane presso l’Università degli Studi di Milano. Dopo essersi laureato in Filosofia a Milano ha studiato presso l‘Università Cattolica di Lovanio, la Scuola Normale Superiore di Parigi e l’Università di Genova, dove ha preso il dottorato in Filosofia della Scienza. Si è a lungo occupato di fenomenologia, indagando in particolare genesi e struttura delle forme elementari di rappresentazione dello spazio. Negli ultimi anni si è sempre più dedicato allo studio dei meccanismi neurali e dei processi psicologici alla base della cognizione sociale. Ha pubblicato insieme con Giacomo Rizzolatti il volume So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio (Raffaello Cortina, Milano 2006).

 

Intervista a Vittorio Gallese sui neuroni specchio

Vittorio Gallese, La mente incarnata, l’arte e l’empatia

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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (232): Leggere CARLO GINZBURG, Occhiacci di legno. Nove riflessioni sulla distanza,

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In breveIl libro indaga, da punti di vista diversi, le potenzialità co- gnitive e morali, costruttive e di- struttive dello spaesamento e della distanza attraverso nove capitoli della storia culturale: Straniamento, Mito, Rappresentazione, Immagine devozionale cristiana, Idoli e so-miglianza, Stile, Distanza e pro- spettiva, Uccidere un mandarino cinese, Un lapsus di papa Wojtyla

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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (231): Leggere MARIA TERESA CASSINI e ALESSANDRO CASTELLARI, La pratica letteraria. Interrogarsi attraverso la lettura su se stessi e il mondo – Lo studio della letteratura come strumento di conoscenza della realtà (dell’anima)

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Se all’inizio della mia carriera di insegnante arte e letteratura erano per me espressioni di civiltà che avevano bisogno di essere spiegate, ‘difese’ da una visione più generale che le inquadrasse in una teoria, successivamente e poi per sempre mi sono convinto del fatto che in esse sia presente pensiero, che siano veicolo di pensiero. Non le avrei più ricondotte a una visione del mondo, di cui non avevano bisogno per sussistere ed esprimere senso. L’ideologia degli Autori, le loro idee su arte e società, la poetica sono sempre intrise di pensiero. La stessa opera contiene sempre tracce esplicite di pensiero. Gli scrittori che hanno riservato ampi spazi alla poetica programmatica, come Leopardi, ci hanno lasciato monumenti di filosofia che non abbiamo mai smesso di studiare. Più recentemente, i rapporti tra pensiero e poesia sono diventati luoghi frequentatissimi per tutti gli studiosi e gli insegnanti. Un’opera in dieci volumi per la scuola, che comparve nel 1981, mi introdusse all’idea che la letteratura è strumento di conoscenza. A me piace aggiungere: della realtà, della realtà dell’anima. Allora, leggere i classici italiani e latini in classe è stato un autentico esercizio spirituale.

Leggere Dante, ad esempio, è un’esperienza esemplare per tutti, non solo per i ragazzi. Quando mi fu presentato l’Inferno – era il 1965 -, frequentavo il primo anno del triennio nel Liceo classico della mia città. Un anno dopo, partecipando a un incontro di studenti cattolici con una studiosa di Roma, mi sentii dire in mezzo allo stupore generale che sicuramente, assieme a tutti i presenti, pensavo all’aldilà alla maniera di Dante: con le fiamme dell’Inferno, la luce del Paradiso e tutto il resto. Inizialmente, mi risentii, come se ricevessi una sfida da cui non potevo uscire sconfitto: non ero così ingenuo. A pensarci bene, però, cercando nel catalogo delle idee e delle immagini, non trovai altro! Era proprio così. Soprattutto, non riuscivo a pensare il Paradiso.

Stimolata dai presenti, la studiosa non si sottrasse alla richiesta di svelare come, invece, pensasse lei l’aldilà. La risposta non si fece attendere: ci sorprese non poco sentir dire in ambiente cattolico, alla presenza di preti, che l’aldilà non aveva nessun punto di contatto con la rappresentazione dantesca. Essa era falsa. La persona che parlava ci propose semplicemente come premio l’idea della visione di Dio e la gioia che necessariamente deve accompagnare tale dono. Come punizione lei non riusciva ad immaginare se non l’assenza di tale visione e della gioia. L’infinita misericordia di Dio non avrebbe potuto fare di meglio!

Negli anni che seguirono, per ‘recuperare’ il ritardo accumulato, nel corso della lettura di Dante mi concentrai sulla rappresentazione dell’aldilà. Cosa sostituire alla concretezza delle immagini dantesche? Ma soprattutto, come immaginare premio e punizione?

Se questo è solo un esempio di quello che può accadere nel corso della lettura di un’opera letteraria importante, provate ad estendere la riflessione appena abbozzata ai classici tutti. Voglio dire che leggere i classici è misurarsi con le idee che li ‘accompagnano’. Ai miei alunni ho sempre detto che secondo Borges la Divina Commedia è l’opera d’arte più grande di tutti i tempi. Assegnare valore a un’opera equivale a chiedersi cosa essa abbia da insegnarci, al di là del suo pregio artistico.

Con Dante, ho parlato a scuola del primato dell’intelletto, della ragione morale, dell’umana capacità di discriminare tra Bene e Male: con Dante ci chiediamo sempre di nuovo cosa sia l’errore morale – non importa se lo chiameremo peccato; a che punto siamo con la lussuria, con l’avarizia, con la gola, con l’ira, con l’accidia, con la superbia, con l’invidia. Se contrapponiamo ai vizi capitali i nuovi vizi, incontreremo consumismo, conformismo, spudoratezza, sessomania, sociopatia, diniego, vuoto.

Il carattere collettivo dei nuovi vizi ci porterà ad interrogarci sulla natura personale dei peccati, sulle vie – le porte del peccato – per le quali oggi cadiamo nell’errore morale. Ci interrogheremo, ancora, sul Male, sulla sua origine e sulla sua natura. Interpelleremo la virtù – il ritorno alle virtù -, come antidoto e rimedio. I testi su peccato e virtù ci aiuteranno a gettare uno sguardo sul presente; la più chiara nozione del presente che ricaveremo ci aiuterà a ‘dialogare’ meglio con la Commedia dantesca: riusciremo a misurare la distanza che ci separa da quella rappresentazione dell’aldilà, come dalla condizione umana del tempo che corrisponde a quell’opera letteraria.

Il ‘commercio’ con l’opera dantesca illuminerà di luce nuova la nostra esperienza morale. Ci ‘allontaneremo’ da essa sicuramente per quanto riguarda i contenuti dottrinali – basti pensare al sistema astronomico tolemaico che è alla sua base -, ma non potremo fare a meno di sentire il fascino della sua coscienza, il suo senso del peccato, il suo bisogno di redenzione, il compito che si assegna di contribuire con la parola poetica alla salvezza dell’umanità. Il suo itinerarium mentis in Deum – autentico dramma dell’anima – ci vedrà pellegrini come lui, in cerca di pace e di riscatto.

La lettura ripetuta del testo nel tempo è stata accompagnata da un ripensamento continuo delle cose qui indicate per cenni – sarebbe lungo rendere conto compiutamente della riflessione che ha accompagnato la lettura di Dante negli anni -. Ogni volta, l’approssimazione alla realtà del nostro tempo è cresciuta. Ne è risultato accresciuto anche il senso della mia esistenza, in termini di consapevolezza e di sensibilità (estetica e morale).

 

La data del 2007 è importan- te: coincide con la pubblica- zione presso la Casa editrice Apogeo, nella Collana Prati- che filosofiche, dell’opera di MARIA TERESA CASSINI e ALESSANDRO CASTELLARI, La pratica letteraria. Interro- garsi attraverso la lettura su se stessi e il mondo.

(Intervista ad Alessandro Castellari):

Per il download: Foschi-Castellari_2145.flv

Parlato:

 

 

INDICE

Parte prima – Scambiarsi storie, pag.1

Capitolo 1 – Le pratiche di lettura, pag.3
Scambiarsi storie nel gran bazaar, pag.3
La “lettura teatrante”, pag.11
Le lettrici e la coda di Melusina, pag.18
La lettura e il dono, pag.30

Capitolo 2 – Seduzione e ordine della forma letteraria, pag.39
La seduzione, pag.39
L’ordine, pag.48

Capitolo 3 – La pregnanza simbolica della letteratura, pag.67
La parola aperta della letteratura, pag.67
Il simbolo, pag.78
Sotto il Partenone il teatro, pag.83
Discesa ad Ade, pag.89

Capitolo 4 – Il lettore plurale, pag.99
“Una viva attenzione”, pag.99
Nell’universo delle voci e dei punti di vista, pag.107
La catarsi del lettore, pag.118
“Contro il fanatismo”, pag.123

Parte seconda – Dialogare con i testi, pag.131

Capitolo 5 – L’Odissea: il viaggio all’origine della cultura occidentale, pag.133

Capitolo 6 – Edipo re: essere uno, essere molti, pag.169

Capitolo 7 – Le relazioni pericolose: le crepe della ragione, pag.189

Capitolo 8 – La parete: l’operare erratico di necessità, pag.207

Capitolo 9 – Cassandra: l’io e il noi, pag.227

Capitolo 10 – Il responsabile delle risorse umane: la passione dell’altro, pag.247

 

INTRODUZIONE, pag.IX :

Questo libro è nato dal desiderio di percorrere il senso di due domande che Umberto Galimberti ci pose in un articolo apparso su Repubblica nel dicembre 2004 all’uscita di La consulenza filosofica di Gerard B. Achenbach, uno dei volumi che hanno inaugurato questa collana: «Le nostre sofferenze psichiche, i nostri disagi esistenziali dipendono sempre da conflitti interni, da traumi remoti, da coazioni a ripetere esperienze antiche e in noi consolidate come vuole la psicoanalisi, o qualche volta, e magari il più delle volte, dipendono dalla nostra visione del mondo troppo angusta, troppo sclerotizzata, troppo irriflessa per consentirci da un lato di comprendere il mondo in cui viviamo e dall’altro per reperire un senso per la nostra esistenza e quindi delle buone ragioni per vivere in accordo con noi stessi? Se questa seconda ipotesi è vera, perché non prendere in considerazione una ‘terapia delle idee’?»

Angustia della mente, apatia dei sensi, aridità del cuore. Se queste spesso sono le ragioni delle nostre sofferenze e dei nostri disagi, le gabbie in cui ci dibattiamo o in cui ci ottundiamo, una efficace “terapia delle idee” è offerta anche da quella che, per analogia con la pratica filosofica di Achenbach, si può chiamare la pratica letteraria.

Al pari di quella filosofica, la pratica letteraria modifica la sfera del conoscere e del sentire, espande la comprensione della realtà, rende il pensiero più flessibile, più duttile, più problematico.

Come la filosofia, la letteratura, anche se con procedure discorsive completamente diverse, suggerisce e propone percorsi di senso, favorendo esperienze conoscitive profonde e offrendo al pensiero nuovi orizzonti.

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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (230): Leggere ALBERTO ASOR ROSA, Un amore astratto

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177. Un amore astratto. I. Può esserci un amore totalmente astratto? un amore, cioè, che non ha bisogno di convivenza, di famiglia, d’incontri quotidiani, ma s’accontenta di avere come proprio oggetto una pura idea? un amore non finalizzato a questo o quello, ma solo al fatto di esserci – sentimento senza obiettività né obiettivo, pago di sé? Io credo che sia possibile. Anzi, se ci si pensa, ci si rende conto che nelle condizioni presenti della vita, dove i rapporti, le relazioni, le gerarchie sono sempre più importanti che non la sostanza, l’essere e l’esserci, l’unica forma di amore vera è questa che non si identifica necessariamente in un rapporto, anche se non lo esclude. Non parliamo di «amor platonico»: se mai, del suo contrario. Se si riesce infatti a concepire l’amore come una forma essenziale della vita, si capisce anche che solo quando esso è, per così dire, de-socializzato e de-storicizzato – messo «fuori di relazione» – riacquista tutta la sua originaria carica biologica ed anche una forte, insolita tensione sessuale. Solo che, anche a questo proposito (a proposito del sesso, voglio dire), l’amore astratto non lo finalizza mai alla costruzione di una storia ma alla ricerca di un’identità. Anzi, il punto d’incontro del sesso dei due partners diventa esattamente questo: non c’è amore, per loro, né vero congiungimento sessuale, senza che, specchiandosi l’una nell’altra, le due personalità non ne vengano reciprocamente ingigantite. Il sesso, cioè, torna ad essere strumento di conoscenza dal momento in cui l’astrazione, delimitandone il campo, gli impedisce di essere usato. Tutto il contrario avviene per l’amore-famiglia e per l’amore-pornografia, i due poli estremi nel mondo d’oggi di una progressiva (presunta?) socializzazione dell’amore. Tutti vogliono socializzare l’amore: ma l’amore che resta, ed è intangibile, non è condivisibile. Passione e astrazione in questo caso vanno insieme.
II. Solo l’amore astratto può mettere veramente in crisi sia la coppia sia la famiglia, queste due concezioni speculari dell’impossibilità umana di andar oltre i limiti costituzionali del genere. Le mette in crisi, voglio dire, perché non si contrappone loro antagonisticamente, ma neanche le elimina (né ambisce eliminarle). Sta in un piano suo, dove il possesso dell’oggetto è totale e al tempo stesso reciproco – fatto quasi miracoloso, direi, e che non avviene mai laddove l’amore passa attraverso le figure istituzionalizzate della famiglia e della coppia (neanche della coppia irregolare o adultera, naturalmente). Questo amore astratto è così possente e totale, così privo di limiti, da sconfinare continuamente e irresistibilmente nell’immaginario
III. L’amore astratto non può che essere un amore scettico, disincantato, ironico e auto-ironico: non è per niente quello che comunemente si definirebbe un «amore caldo», o, meglio, non ha il calore dell’estate ma piuttosto quello assai caratteristico del gelo, e proprio per ciò è capace d’essere fortissimo, intenso, bruciante, e di una ostinazione senza pari. Il dubbio, infatti, che in campo erotico spesso nasce dalla sproporzione esistente fra il risolto e l’irrisolto e fra il reale e il (cosiddetto) irreale, lui se l’è lasciato dietro le spalle: non ha dubbi, precisamente perché non crede più in niente; non crede più in niente – e dunque può credere fortemente nell’unica cosa che resta al di là di qualsiasi obiettivazione: la reciproca ricerca dell’identità – senza motivazioni, senza scopo e senza uso. Anche da questo lato, dunque, l’amore astratto entra nel dominio, o addirittura è già di per sé una componente importantissima del dominio dell’immaginario.
IV. L’amore astratto, per conservare intatta la sua forza, non deve cercare di diventare né l’amore-coppia né l’amore-famiglia né l’amore-pornografia, ma non può aspirare neanche – l’ho già detto – a eliminarli o a rimpiazzarli. Si dirà: ben poca cosa, quest’amore, che non riesce a collocarsi con pari dignità accanto agli altri suoi simili, né ad imporsi a loro, se è migliore di loro. Confessiamo pure questa debolezza: il carattere umbratile, non pubblico, reticente, talvolta del tutto segreto, dell’amore astratto.
 Ma proprio questo è il punto: l’amore astratto è migliore di loro, perché non è loro… Questo è l’abisso che lo separa dalle altre forme di amore, le quali, invece, poiché tutte partecipano dell’universo della comunicazione, sono diverse fra loro, ma per l’appunto non incomunicabili, anzi hanno qualcosa in comune: tant’è vero che si sopportano tranquillamente a vicenda e che aspetti dell’una passano facilmente nell’altra (quanta pornografia nella vita segreta della coppia o della famiglia, e quanti sogni di normalità nella morale piccolo-borghese e filistea della moderna produzione pornografica). L’amore astratto, invece, non comunica con gli altri perché non ha, come loro ce li hanno, né scopo né uso: apparentemente non serve a nulla, e quindi non può essere usato. Tecnicamente parlando, è una macchina immaginaria per la produzione di alte energie, che possono essere soltanto consumate e disperse… L’amore astratto nasce al di fuori dei circuiti fondamentali della società moderna, perché non ha a che fare né con la produzione né con il consumo né con la ri-produzione né con l’informazione, né, perfino, con i bisogni comunemente intesi (intesi, dico, come espressioni di socialità). Serve solo a chi lo prova solo a confermargli che c’è. E’ eminentemente tautologico. 
V. Per quanto sia caratterizzato da un’altissima eccezionalità, tuttavia l’amore astratto è la forma di amore che più si avvicina a quell’indeterminato ma universale amore, che lega l’uomo alla propria specie e alla conservazione di essa. Questo amore universale raramente emerge in forma consapevole e si presenta come discorso, ragionamento, dialettica, tentativo di persuasione. Più spesso esso si presenta come il cemento puramente naturale, sub-esistenziale, dei rapporti sociali e degli avvenimenti storici, senza il quale né gli uni né gli altri sarebbero possibili: perché, senza un presupposto pre-sociale e pre-storico, la società e la storia non avrebbero su che fondarsi. Ebbene, anche questo amore universale è astratto come quello, individuale, di cui abbiamo precedentemente parlato: anch’esso, infatti, non ha motivazioni né scopo, e può essere usato solo nel senso del tutto indiretto e genericissimo (e tuttavia, come si può ben intendere, decisivo) che, ove esso non ci fosse, nulla ci sarebbe. Tornando a noi, dunque, si potrebbe dire che l’amore astratto insinua fra due individui il modo d’essere più vicino a quell’amore in base al quale la specie vive, anzi più esattamente, in base al quale la specie è. Questa è un’altra spiegazione possibile della sua straordinaria e sorprendente intensità.
VI. L’amore astratto, per sua natura, è il più indifferente alle distinzioni fra i sessi, e può manifestarsi perciò tanto fra un uomo e una donna quanto tra individui dello stesso sesso. Questa è una prova ulteriore della sua maggiore approssimazione all’universalità rispetto alle altre forme d’amore contemplate. Anzi, si potrebbe dire che, data la maggiore difficoltà che un amore fra due uomini o fra due donne sia storicizzato e socializzato, e comunque riconosciuto e accettato nel sistema delle relazioni vigenti, all’amore astratto sono in grado di arrivare più facilmente i rapporti omosessuali (che non sempre, peraltro, coincidono con i rapporti tra gli omosessuali). Si può anche dire, però, che fra un uomo e una donna, fra questi due esseri reciprocamente diversi, l’amore astratto ha più probabilità di raggiungere la dirompente intensità d’un rapporto che non sceglie, per manifestarsi, nessuna delle forme istituzionali possibili, ed anzi, miracolosamente, le nega tutte (coppia, famiglia, gruppo, pornografia, ecc.). E’ vero, peraltro, che nell’amore astratto la diversità non è decisiva: anche fra un uomo e una donna, infatti, esso presenta un carattere paradossalmente omosessuale. Poiché non ha né motivazione né scopo né uso, e si basa sulla pratica di un possesso totale e al tempo stesso reciproco (è ovvio che, se quest’ultima condizione non si pone, non si può parlare di amore astratto), esso si spoglia delle motivazioni istituzionali dei sessi, tende a un piano di parità e recupera tutt’intera la carica del sesso in quanto la fruisce del tutto indipendentemente dal rapporto storico-sociale, entro cui di solito le altre forme d’amore si collocano. Tutto il retroterra è cancellato, persino i due sessi tendono ad eguagliarsi. L’amore astratto, cioè, funziona da specchio, è uno specchio: permette ad ognuno dei due amanti di vedersi letteralmente nell’altro. Al limite – come nell’antico mito dell’androgino – ognuno non fa che amare sé nell’altro: ognuno si ama da , ma nella polarità dei due individui distinti, e destinati a restar tali.
VII. L’esperienza suprema dell’amore astratto è la reciproca auto-identificazione dei due esseri che vi partecipano, attraverso il piacere sessuale. Spogliato ormai di ogni attributo storico ed evenemenziale, questo non è, infatti, che il modo più alto di potenziare la propria identità in quella dell’altro – e viceversa. Amando sé in lui (o in lei), ciò che si viene a desiderare è che le differenze siano confermate e magari precisate solo perché risultano necessarie a potenziare l’elemento di unità, il cemento reale, che i due corpi si sforzano di realizzare: il fatto, ben visibile, che essi vorrebbero non separarsi più, vorrebbero continuare ad aderire fino alla loro completa consumazione e dissoluzione. Questo, per esempio, è un tipico fatto che non fa notizia: come notizia, infatti, è assolutamente banale. Ma se si prescinde da questa sostanziale possibilità, non solo il rapporto sessuale, ma qualsiasi altro rapporto tra esseri umani non sarebbe neanche pensabile.
VIII. La cosa più difficile da spiegare è perché l’amore astratto si manifesti proprio fra quei due individui determinati, e non fra altri. Facciamo, intanto, questa constatazione preliminare: l’amore astratto fa emergere senza ombra di dubbio un segmento di destino dal caso-caos, con il quale, sia pure confusamente, tutti i giorni facciamo i conti: il piacere altissimo, che l’amore astratto, anche attraverso il sesso,  consente, è in stretta relazione con l’affiorare di questa consapevolezza. Se questo è vero – e sul piano psicologico ed emotivo se ne può fare un’esperienza difficilmente confutabile – allora bisognerà arrivare alla conclusione (ahimè, quanto presuntuosa!) che all’amore astratto si perviene soltanto quando si verifica l’incontro di due identità superiori, nelle quali il processo di autoidentificazione e separazione rispetto a tutto il mondo circostante è già andato molto, molto avanti. La congiunzione sessuale, in queste condizioni, è la rappresentazione simbolico-biologica (un fatto biologico, che, potremmo dire, assume valenze concettuali-simboliche, o un simbolo fortemente incardinato nel linguaggio biologico), è la più efficace «sacra rappresentazione» di questa perdurante, ineliminabile tensione fra unità e diversità, fra sotto e sopra, fra pensiero e corpo: ha, insieme, tutta la forza del simbolo, e tutta la forza della biologia; spinge i cervelli oltre i confini dati dal sapere umano, senza, al tempo stesso, proporsi (né potrebbe farlo) come «nuovo modello». E’ supremo, unico, irripetibile e incomunicabile: è conoscenza, senza essere sapere (e tantomeno persuasione). E’ l’anticamera del nulla; ed è, al tempo stesso, il tutto.

da ALBERTO ASOR ROSA, L’ultimo paradosso, EINAUDI 1985, pp.155-161

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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (229): Leggere Fabio Fagnani – Una lettura psicoanalitica della tossicomania


FABIO FAGNANI, Tossicomania: l’incapacità di apprendere

FABIO FAGNANI, Una terapia di elezione nella tossicomania: lo psicodramma psicoanalitico di gruppo

FABIO FAGNANI, Solitudine, isolamento e incesto

FABIO FAGNANI, Fascinazione nei confronti di una madre fallica e terrore 


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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (228): Leggere EUGENIO BORGNA, La solitudine dell’anima

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Lunedì 15 agosto 2011

In questo suo libro Eugenio Borgna assume come filo conduttore della sua personalissima esplorazione dei molti modi di stare al mondo una delle condizioni esistenziali più difficili da descrivere nella sua ricchezza e problematicità. Molti sono infatti i modi d’essere della solitudine e i suoi linguaggi. C’è una solitudine interiore che è fonte di conoscenza di sé e meditazione, una solitudine creatrice e positiva in cui si cela una domanda di serenità e di speranza. E c’è una solitudine dolorosa, negativa, che isola e separa dal mondo, una solitudine che si genera nella malattia, nel dolore dell’anima e del corpo, nella perdita della speranza. E di ognuna di queste due opposte solitudini esistono poi molti vissuti diversi. Eugenio Borgna prende per mano il lettore e con lui attraversa questi mondi. La sua parola sottile ed elegante, la sua delicatezza nell’avvicinare e restituire al lettore le emozioni più severe e la viva intensità con cui sa ricreare lievi vissuti di gioia e felicità rendono questo libro un prezioso viatico per comprendere quanto profonda e spesso ignorata sia la vita interiore, sempre più divorata dalla mondanità e dalla ricerca di mete nutrite di illusioni e apparenze. Non mancano in questo libro le osservazioni e i suggerimenti rivolti a una psichiatria che sappia farsi carico dei silenzi del paziente e della sua domanda di ascolto. Non mancano spunti personali, e richiami alla poesia come accesso privilegiato all’interiorità. Ma soprattutto non mancano l’intensità e l’intelligenza con cui Eugenio Borgna sa creare un colloquio con i suoi ormai innumerevoli lettori.

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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (227): Leggere EUGENIO BORGNA, Noi siamo un colloquio

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Lunedì 15 agosto 2011

La prima volta che mi sono ritrovato tra le mani il volume di Borgna era il 18 gennaio 2000. L’emozione provata già di fronte al titolo non mi ha mai abbandonato. Sonava rassicurante per me, perché ci leggevo quello che considero l’unico motivo di speranza, ormai: che sia possibile fornire aiuto ai nostri simili, pur non avendo la laurea o il diploma che occorrerebbero per farlo. E quello che io faccio non proviene soltanto dalla mia laurea in Filosofia, da 45 anni di studi di Filosofia e altrettanti passati a studiare tutto quello che riguarda il campo delle neuroscienze, la psicologia dell’educazione e la Letteratura e l’Estetica e l’Etica… Fabio Folgheraiter riconosce la realtà delle cure informali, ma è Fabio Folgheraiter! Sembra che il dialogo sia una struttura portante della condizione umana, non della condizione degli Esperti della salute mentale soltanto. In Italia la compassione è morta da un pezzo: io vedo che non ne hanno nemmeno le madri per i loro figli, quando essi siano affetti da tossicomania o da altri disturbi gravi. Che la tossicomania sia una malattia grave non è disposto a riconoscerlo quasi nessuno. I ragazzi che ne sono affetti sono perseguitati, incarcerati, qualche volta uccisi impunemente. La generosità degli Operatori è dei singoli, non delle strutture. Gli Amministratori sono impegnati a demolire quel che resta dello Stato sociale, negando sempre più fondi alle strutture, come se ci fosse da risparmiare prima di tutto in quel Settore. Il disagio umano è cosa di poco conto. Prevalgono spiegazioni sbrigative che sono avallate da un potere criminale e da strutture pubbliche e private arrendevoli: i disturbi da dipendenza sono derubricati a vizio, ormai. La punizione prevale sull’Educazione. Perciò, costituisce una speranza residua la voce di chi, come Eugenio Borgna, crede nel potere della parola ed è pronto a riconoscere valore umano solo a chi parla al dolore umano. Il deserto che abbiamo attraversato è ancora lì intatto davanti a noi. Dopo 22 anni di lavoro sociale, non è cambiato nulla: non è arrivato nessun riconoscimento, da nessuna parte. Quando deciderò di smettere di fare quello che faccio ogni giorno, dal lunedì al venerdì, nel Centro di ascolto della mia città, mi limiterò a chiudere il portone e a restituire la chiave al padrone di casa. La distruzione progressiva che questi 22 anni hanno prodotto è cosa solo mia. Essa è il giusto prezzo che dovevo pagare per realizzare l’ultimo sogno della mia vita, dopo l’Azione cattolica, il Partito, il Sindacato. I risultati conseguiti – alcune decine di persone che stanno bene e hanno ripreso a vivere serenamente – mi bastano. I loro volti e i loro nomi e il loro affetto popolano le mie notti di ricordi positivi e bastano a compensare il dolore per i ragazzi morti, per l’invidia, la gelosia, il risentimento, la stupidità, la cattiveria, la ferocia con cui l’impresa dell’Ascolto si è scontrata qui, in questa città. A chi non crede che il destino delle persone è dato anche dal posto in cui nascono e dall’accoglienza che ricevono e dall’educazione e da tutto il resto questo dovrebbe bastare: se non avessi avuto spalle solide dalla nascita, forse sarei anche io ad ingrossare le file degli infelici pochi che popolano le strade di tutte le nostre città e che nessuno conosce e nessuno vede. Quando è morto Benedetto, i suoi amici hanno scritto sul muro dove si è schiantata la sua macchina: OCCHIALI PER TUTTI!  

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Molto ha esperito l’uomo.
Molti celesti ha nominato
da quando siamo un colloquio
e possiamo ascoltarci l’un l’altro
(Friedrich Hölderlin)

Le riflessioni di Martin Heidegger su queste parole straziate ed alte del grande poeta tedesco consentono di indicare la radicale importanza del colloquio, come struttura dell’esistenza, e le conse- guenze che ne scaturiscono, quando essa si lacera e si frantuma implacabilmente (ad esempio) in una tossicomania. Queste sono alcune delle cose che egli scrive: «Noi siamo un colloquio. L’essere dell’uomo si fonda nel linguaggio (Sprache); ma questo accade (geschieht) autenticamente solo nel colloquio (Gesprächt)»; e ancora: «Ma che cosa significa allora un ‘colloquio’? Evidentemente il parlare insieme di qualcosa. E’ in tal modo che il parlare rende possibile l’incontro. Ma Hölderlin dice: ‘da quando siamo un colloquio e possiamo ascoltarci l’un altro’. Il poter ascoltare non è una conseguenza che derivi dal parlare insieme, ma ne è, piuttosto, al contrario, il presupposto» (M.Heidegger, La poesia di Hölderlin, Adelphi 1988). L’inaudita rilessione heideggeriana così prosegue: «Ma Hölderlin non dice semplicemente: noi siamo un colloquio, bensì: ‘da quando noi siamo un colloquio…’. Là dove c’è ed è esercitata la facoltà del linguaggio propria dell’uomo, non vi è ancora senz’altro l’evento essenziale del linguaggio: il colloquio»; e infine: «Un colloquio, noi lo siamo dal tempo in cui ‘vi è il tempo’. E’ da quando il tempo è sorto e fissato che noi siamo storicamente. Entrambi – l’essere un colloquio e l’essere storicamente – hanno lo stesso tempo, si appartengono l’un l’altro e sono il medesimo». (da EUGENIO BORGNA, Noi siamo un colloquio, Feltrinelli 1999: Il vuoto esistenziale, pp.120-122)

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I compiti della psichiatria, la narrazione come modalità descrittiva del sintomo, la terapia e i luoghi della cura: i temi al centro della riflessione di Borgna sono ora affrontati con taglio radicalmente psicopatolo- gico e fenomenologico, che mette in primo piano il colloquio interiore che anche nelle pieghe piu profonde della sofferenza psichica ognuno ha con le voci e i silenzi della propria anima. 

Gli orizzonti della conoscenza e della cura in psichiatria. La psichiatria è disciplina medica che si occupa della diagnosi, della comprensione e delle strategie terapeutiche necessarie per avvicinare ciò che convenzionalmente chiamiamo “disturbo psichico”. Ma essa non può sfuggire a certe scelte etiche che richiamano i grandi temi del senso della vita, della libertà, della responsabilità verso le esistenze deboli ed emarginate. La psichiatria ha a che fare soprattutto con la cura, ma la cura non può essere soltanto farmacologica: è anche psicologica e sociale e dipende soprattutto dalla capacità di ascoltare, per cogliere quel colloquio interiore che ognuno di noi intrattiene con le voci e i silenzi della propria anima, anche quando ci si trova persi nelle pieghe più profonde della sofferenza psichica. Questo libro affronta il grande tema della psicopatologia e della sua modernità. Descrive alcune fondamentali condizioni psicopatologiche e le loro strutture portanti mettendo in luce come, tra gli aspetti cruciali della sofferenza mentale, vi siano i modi soggettivi di essere nell’angoscia e nella tristezza, nella disperazione e nella dissociazione, nell’ossessività e nell’euforia, vale a dire i vissuti emozionali di ogni esperienza neurotica o psicotica.

[Da quando noi siamo un colloquio]

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INDICE
Alla ricerca dell’anima

I. La psichiatria, questa sconosciuta
La frequenza dei disturbi
Le cause
Le strategie terapeutiche
L’etica
Il segreto

II. Il misterioso cammino verso l’interno

1. Negli abissi della soggettività
Movendo dalla vita interiore
Cosa ci fa conoscere la psicopatologia
Il cuore come immagine dell’intuizione
Le aree tematiche della psicopatologia
I sintomi come disturbi della comunicazione
Il senso ultimo della psicopatologia

2. Come nasce una condizione depressiva
La definizione di personalità
Gli elementi clinici del discorso
Cosa sono le situazioni patogene
Quali sono le nostre esperienze
I contesti familiari e ambientali
Smorzare le alte tensioni emozionali

3. Le immagini della memoria e del passato
Il tempo vissuto non è il tempo della clessidra
Le dimensioni fenomenologie della memoria vissuta
Il tempo della tristezza e la memoria
Il tempo perduto nella schizofrenia
La memoria del cuore

4. La tristezza leopardiana e la tristezza che si nasconde nella musica
L’evoluzione storica del tema
La tristezza leopardiana
La musica e l’ineffabile
La tristezza motivata
La tristezza che nasce da un cambiamento di casa
La tristezza vitale
Ascoltare, la cosa più difficile

III. La comunicazione sospesa

1. Una maschera ancora, una seconda maschera
Le definizioni
La psicopatologia del mondo-della-vita isterico
Una storia clinica
La fenomenologia
Il gioco volubile delle apparenze
L’immagine che si riflette nello specchio
“Tua res agitur”

2. Il fascino insondabile della dissolvenza, pp.119-131
Il vuoto esistenziale, pag.120
La clinica delle tossicomanie, pag.122
La fenomenologia, pag.125
Il linguaggio del corpo, pag.128
La relazione terapeutica, pag.129

3. Nelle acque immobili del silenzio
Il dialogo come struttura portante della condizione umana
 

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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (226): Il Genius loci ovvero lo spazio vissuto

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Domenica 14 agosto 2011 
PAOLO FERRARIO, Passeggiando in un giardino a terrazze sul lago

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Presentazione del volume Angelicamente. Il significato dell’Angelo nella cultura del nostro tempo (edito da Zephyro Edizioni nel 2010) – Paolo Ferrario qui illustra il senso del suo saggio Il Genius Loci come angelo del luogo, pp.45-57 

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Via della Vite, Via delle Barche, Via all’Orto

Via del Caco, Largo del Noce, Via del pollaio

Largo della Pergola, Orto Verde, Terrazza, Largo del Tiglio

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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (225): Leggere MASSIMO CIRRI, A colloquio. Tutte le mattine al Centro di Salute Mentale

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Domenica 14 agosto 2011

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 MASSIMO CIRRI, A colloquio. Tutte le mattine al Centro di Salute Mentale, FELTRINELLI 2009

Al centro lui, lo psicologo – alle prese con il malessere del mondo, il mondo che gli passa davanti in cerca di una via d’uscita, in cerca di sollievo, a volte alla ricerca di niente. La signora A. ha la capacità di logorare i nervi e a ogni seduta dice di avere novità “importantissssssime”. Il signor K. è molto solo, e i suoi problemi sono cominciati con una frattura, ma non esistenziale, una dolorosa frattura del polso. Il signor C. si sente la depressione addosso, come una pellicola adesiva, e ha cambiato decine di terapeuti. Il signor I. dice che va in crisi “se gli capita di vedersi mentre fa l’amore con la moglie”. Il signor N. ha serie difficoltà a controllare l’aggressività. Il signor R. ha un problema con le donne: negli ultimi tre mesi ha avuto sei appuntamenti con sei donne diverse, e non ce n’è uno che abbia funzionato. La signora O. racconta che ogni tanto “si tocca dentro con il marito”, nel senso che ha piccoli scontri, incomprensioni, litigi. Il signor M. è per sua stessa ammissione perennemente incazzato. Lo psicologo Massimo Cirri racconta i suoi straordinari incontri in un Centro di Salute Mentale.

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Presentazione dell’opera a Senigallia (12 agosto 2009) – durata: 62:39

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