VERSO LA TERRA INCOGNITA (3): Oltre il visibile, l’accesso alla realtà nascosta della cosa è possibile a uno sguardo fenomenologico che sappia trascorrere dall’apparenza a ciò che è più proprio della cosa.

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E’ quasi impossibile separare dal nostro spirito quello che non c’è. Che cosa dunque saremmo, senza l’aiuto di ciò che non esiste? Ben poca cosa, e i nostri spiriti disoccupati languirebbero, se le favole, i fraintendimenti, le astrazioni, le credenze e i mostri, le ipotesi e i sedicenti problemi della metafisica non popolassero di esseri e di immagini senza oggetti i nostri abissi e le nostre tenebre naturali. I miti sono le anime delle nostre azioni e dei nostri amori. Non possiamo agire che movendo verso un fantasma. Non possiamo amare che quello che creiamo.

L’oggetto specifico, unico e costante del pensiero è ciò che non esiste. Ciò che non è davanti a me; ciò che è stato; ciò che sarà; il possibile; l’impossibile. A volte questo pensiero tende a realizzare, a elevare al vero ciò che non esiste; e altre volte a rendere falso ciò che esiste.

La maggior parte ignora ciò che non ha nome; e la maggior parte crede all’esistenza di tutto ciò che ha un nome. Le cose più semplici e quelle più importanti non hanno tutte un nome. Quanto alle cose che non sono percepibili con i sensi, una dozzina di termini imprecisi, quali idea, pensiero, intelligenza, natura, memoria, caso…, ci servono come possono e generano o alimentano un’altra dozzina di problemi inesistenti.

PAUL VALÉRY, Cattivi pensieri


‘Soltanto’ il metodo fenomenologico consente di descrivere e di spiegare accuratamente e concretamente il movimento verso l’invisibile, a partire dalla valorizzazione di ciò che appare.

Il senso comune è portato a pensare che “le apparenze ingannano”, perché non segue un metodo adeguato alla realtà della cosa. Esso si ferma all’ingannevole evidenza di ciò che appare, che veicola il senso senza riassumerlo tutto in sé. Il senso comune è portato a dare credito solo a ciò che appare: lo isola da ciò a cui rinvia, a ciò di cui è segno. Per questo, riceve smentite dalla realtà, in quanto, fermandosi all’apparenza delle cose, non coglie la cosa stessa, la sua essenza, a partire dal suo modo di darsi a conoscere: ogni volta deve chiedersi se sia vero ciò che appare. E ad ogni smentita della realtà è costretto a riaffermare sempre di nuovo che “le apparenze ingannano”.

Più concretamente, si tratta di farsi guidare da principi e regole che aiutino a raggiungere il cuore della cosa, la sua natura profonda, che si dà oltre l’apparenza sensibile. La trascendenza fenomenologica è radicalmente diversa dalla trascendenza metafisica: essa non è da riferire ad un’altra realtà, ad enti sovramondani. La regola della trascendenza allude ad una regione interna alla realtà della cosa stessa, ci guida verso l’essenza nascosta delle cose.

Il principio più generale che ci ispira è questo: Nulla appare invano.

«Proviamo ad articolare questo principio in modo da ricavarne dei principi più maneggevoli e più adatti a descrivere lo stile di pensiero fenomenologico. Proporrei i seguenti due, che vorrei chiamare Principio di Evidenza e Principio di Trascendenza, che analizzano il principio ispiratore. Essi dovrebbero essere affiancati da una regola che ci dica come tenere conto di essi e che chiamarei la Regola di Fedeltà.

Principio di Evidenza. Ogni tipo di cosa ha un modo specifico di darsi a conoscere ovvero di apparire per quello che è, essenzialmente.

Principio di Trascendenza. Ogni tipo di cosa ha un modo specifico di trascendere la sua apparenza ovvero di essere realmente al di là di quanto appare.

In effetti, questi due principi esprimono quello che la fenomenologia considera essenziale del rapporto fra fenomeni e realtà, apparenza ed essere. Nulla appare invano, ma la reciproca non vale: non tutto quello che una cosa è realmente appare.

Una formulazione più accurata, ma anche più complicata, basterebbe a mettere in evidenza il fatto che evidenza e trascendenza si implicano reciprocamente, vale a dire che il modo tipico che una cosa ha di darsi a conoscere è anche il modo tipico che essa ha di sparire nell’invisibile, per così dire; e che quanto della sua realtà non appare, o non si dà immediatamente a conoscere, si nasconde tuttavia in un modo tipico. Un po’ come il lato nascosto della cosa visibile, il profilo della trascendenza, per così dire, è suggerito dal profilo dell’apparenza. Generalizziamo questa nozione di profilo nascosto in quella di stile di trascendenza, correlativa di quella di stile di evidenza o di esperienza. Se quest’ultima nozione dovrebbe, in fenomenologia, stare alla base delle epistemologie specifiche, la prima è la nozione fondamentale delle ontologie specifiche – ovvero, nella terminologia husserliana, regionali. Ad esempio, la regione Natura, o la regione Persona. [Roberta De Monticelli è unica al mondo su una Cattedra che si chiama Filosofia della Persona] […] Il Principio di Trascendenza altro non è che il principio fenomenologico di realtà: per cui ogni cosa reale è una fonte infinita di informazione, ha una profondità nascosta, non è mai tutta data o presente.

Quanto alla Regola di Fedeltà, essa pure può articolarsi in due parti:

1. Accogli (nelle descrizioni che dai, nei concetti che usi) ogni cosa come essa si dà a conoscere ovvero per quello che appare, essenzialmente (o tipicamente). […]

2. Lasciati guidare oltre le apparenze delle cose dalle apparenze stesse ovvero segui il profilo nascosto della cosa, quale te lo suggerisce il profilo apparente.»

(ROBERTA DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, pp.35-36)

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VERSO LA TERRA INCOGNITA

Le basi dell’educabilità di un Educatore (in Exodus) sono tre: muovere verso se stessi, verso gli altri, verso il mondo. La condizione dell’educabilità dei ragazzi dipende interamente dalla capacità di educare se stessi.

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VERSO LA TERRA INCOGNITA (2): Alla scoperta di sé, degli altri, del mondo. Cosa rende possibile il cammino? Identità e differenza. Perché è arbitraria una ragione che esclude l’Altro.

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Essere in movimento è essere in cammino, è fare esperienza del mondo, crescere. Ma cosa c’è all’origine di questo movimento? Che cosa significa partire? Da cosa ci separiamo? Cosa ci muove?

Il ‘primo tempo’ per noi è il cammino verso se stessi, ma non è ‘primo tempo’ cronologicamente, come se necessariamente dovessimo ‘prima’ trovare noi stessi ‘e poi’ andare in cerca del mondo. Oltre tutto, non raggiungeremo mai noi stessi compiutamente e definitivamente: siamo sempre in cammino, siamo sempre impegnati a crescere. La scoperta di noi stessi non è solo rinvenimento di verità a noi sconosciute: raggiunta la maturità, quando si ha la sensazione di non crescere più, in realtà si continua a crescere, grazie al contatto con gli altri e con il mondo, che favorisce nuova conoscenza e dunque ulteriore crescita.

In realtà, noi cerchiamo noi stessi e contemporaneamente cerchiamo gli altri e cerchiamo il mondo. Già ‘all’inizio’ ci accade di scoprire qualcosa di noi attraverso gli altri e attraverso il mondo. Dunque, assumere il cammino verso se stessi come ‘primo tempo’ è una scelta solo espositiva, resa necessaria dal fatto che più difficile si rivela il compito della scoperta di sé, che è poi dialogo con se stessi, non mera contemplazione di un quadro immobile di conoscenze: so di me; so tutto di me; so chi sono.

Dialogo con se stessi significa che individuo me stesso come un altro con cui poter dialogare: in me stesso c’è dell’altro, non solo la coscienza irriflessa di me. Mallarmé ha detto di sé: Je est un autre, Io è un altro. Freud ci ha rivelato l’esistenza di regioni profonde della coscienza, nascoste allo sguardo dell’Io cosciente. Franco Rella sostiene che il soggetto è plurale.

Quello che preme dire, però, ora è che non siamo un semplice: in noi c’è duplicità, addirittura molteplicità. Di più, noi possiamo – senza sdoppiarci – indagare sulla nostra natura di individui, ascoltandoci vivere: le ‘voci’ del nostro vivere sono il suono della nostra voce, i gesti, i passi, le scelte, i fatti, le illusioni, i risultati, la fisionomia che assumiamo agli occhi degli altri. L’esame di ciò che abbiamo fatto – ad esempio, al termine di una giornata – ci aiuta ad osservare noi, la nostra vita, il risultato delle nostre azioni. Così facendo, riusciamo a comprendere non solo ciò che abbiamo fatto e che sta lì, con il suo carico di oggettività. Ci interroghiamo sulle ragioni del nostro fare, cosa ci induca ad agire in un modo e come si possa agire diversamente, se carattere e circostanze ce lo consentono.

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VERSO LA TERRA INCOGNITA

Le basi dell’educabilità di un Educatore (in Exodus) sono tre: muovere verso se stessi, verso gli altri, verso il mondo. La condizione dell’educabilità dei ragazzi dipende interamente dalla capacità di educare se stessi.

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CAMMINARSI DENTRO (123): Ciò che è più proprio.

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Camminarsi dentro è possibile, a condizione che lo spazio in cui dovrebbe darsi movimento sia inteso come dimensione temporale, occasione ripetutamente concessa alla coscienza per parlare a se stessa, occupando posizioni ideali, saggiando le posizioni contrarie, accogliendo in sé le voci del mondo esterno, verificando le idee acquisite, tentando passi in avanti, contemplando l’opportunità di un ritorno sui propri passi…
La condizione ideale per camminarsi dentro è data sicuramente da silenzio e solitudine, pazienza e ascolto.
L’attitudine dominante, tuttavia, è espressiva: inquietudine e irrequietezza, perplessità e rammarico, come tutti i moti dell’anima, richiedono voce, hanno bisogno di ricevere un nome.
Il lavoro interiore, dunque, si traduce immediatamente in scrittura. E’ trascrizione fedele di epoche, fasi, archi, stagioni, istanti eterni. Rinvenimento di sensi nascosti. Scoperta di suoni inauditi e parole sconosciute che finalmente dicono l’incanto dei giorni perduti.
Un filosofo ha scritto più volte – a proposito delle madri che uccidono i loro figli o dei figli che uccidono le madri – che quasi sempre si tratta di persone prive dello spazio interiore indispensabile per elaborare dinieghi e mancanze, assenze e perdite… Se la mancanza di quello spazio può condurre alla follia, è in esso – se impareremo a coltivare la nostra anima, se sapremo fare anima – che incontreremo ciò che è più proprio dell’uomo: ciò che salva, accanto a ciò che perde per sempre. Dalla nostra capacità di raggiungere quel ‘proprio’ dipende la qualità dei nostri progetti come l’incidenza su di essi del nostro destino.

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ALBAN BERG, Lulu

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DARE UN VOLTO ALLE COSE (20): Un volto non comune.

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JOSIF BRODSKIJ, Un volto non comune
Discorso per il premio Nobel

Ogni nuova realtà estetica ridefinisce la realtà etica dell’uomo. Giacché l’estetica è la madre dell’etica. Le categorie di «buono» e «cattivo» sono, in primo luogo e soprattutto categorie estetiche che precedono le categorie del «bene» e del «male». In etica non «tutto è permesso» proprio perché non «tutto è permesso» in estetica, perché il numero dei colori nello spettro solare è limitato. Il bambinello che piange e respinge la persona estranea che, al contrario, cerca di accarezzarlo, agisce istintivamente e compie una scelta estetica, non morale.
La scelta estetica è una faccenda strettamente individuale, e l’esperienza estetica è sempre un’esperienza privata. Ogni nuova realtà estetica rende ancora più privata l’esperienza individuale; e questo tipo di privatezza, che assume a volte la forma del gusto (letterario o d’altro genere), può già di per sé costituire se non una garanzia, almeno un mezzo di difesa contro l’asservimento. Infatti un uomo che ha gusto, e in particolare gusto letterario, è più refrattario ai ritornelli e agli incantesimi ritmici propri della demagogia politica in tutte le sue versioni. Il punto non è tanto che la virtù non costituisce una garanzia per la creazione di un capolavoro: è che il male, e specialmente il male politico, è sempre un cattivo stilista. Quanto più ricca è l’esperienza estetica di un individuo, quanto più sicuro è il suo gusto, tanto più netta sarà la sua scelta morale e tanto più libero – anche se non necessariamente più felice – sarà lui stesso.
Proprio in questo senso — in senso applicato piuttosto che platonico — dobbiamo intendere l’osservazione di Dostoevskij secondo cui la bellezza salverà il mondo, o l’affermazione di Matthew Arnold che la poesia ci salverà. Probabilmente è troppo tardi per salvare il mondo, ma per l’individuo singolo rimane sempre una possibilità. Nell’uomo l’istinto estetico si sviluppa con una certa rapidità, poiché una persona, anche se non si rende ben conto di quello che è e di quello che le è davvero necessario, sa istintivamente quello che non le piace e quello che non le si addice. In senso antropologico, ripeto, l’essere umano è una creatura estetica prima che etica. L’arte perciò, e in particolare la letteratura, non è un sottoprodotto dell’evoluzione della nostra specie, bensì proprio il contrario. Se ciò che ci distingue dagli altri rappresentanti del regno animale è la parola, allora la letteratura — e in particolare la poesia, essendo questa la forma più alta dell’espressione letteraria — è, per dire le cose fino in fondo, la meta della nostra specie.

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Fondamenta degli incurabili

IL PROBLEMA ANTROPOLOGICO IN IOSIF ALEKSANDROVIČ BRODSKIJ, di SERGIO PETER

Testimonianze della bellezza


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Leggere Franco Volpi.

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Franco Volpi (1952-2009)

Essere, tempo, esistenza.
Intervista a Franco Volpi. 15 ottobre 2007.

E’ il deserto che avanza.
Intervista a Franco Volpi. 10 giugno 2008.

Comprendere la vita: la filosofia pratica di Martin Heidegger.
In vacanza con Franco Volpi dal 13 al 23 luglio 2005.
Oggi le 12 lezioni in 6 DVD.

ANTONIO GNOLI, Spirito inquieto e anti-accademico,
la Repubblica 15 aprile 2009

Franco volpi (a cura di), Guida a Heidegger, Laterza 2005, pp.492



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Riccardo Cocciante e Notre Dame de Paris

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DARE UN VOLTO ALLE COSE (19): Albino Beauty. Un esempio di armonia eraclitea.

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Albino Beauty, da RearViewMirror

L’albinismo.

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DARE UN VOLTO ALLE COSE (18): Il bisogno di dipingere volti: l’esempio di Alberto Giacometti.

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«Perché sento il bisogno di dipingere volti».


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DARE UN VOLTO ALLE COSE (17): Ezra Pound: volti nella folla.

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Ezra Pound, «In a Station of the Metro» («In una stazione del métro»):

«The apparition of these faces in the crowd;
Petals on a wet, black bough.»

«L’apparizione di questi volti nella folla;
Petali su un umido, nero ramo.»

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Leggere Ezra Pound.

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Francesca

Venivi innanzi uscendo dalla notte
recavi fiori in mano
ora uscirai fuori da una folla confusa,
da un tumulto di parole intorno a te.
Io che ti avevo veduta fra le cose prime
mi adirai quando sentii dire il tuo nome
in luoghi volgari.
Avrei voluto che le onde fredde sulla mia mente fluttuassero
e che il mondo inaridisse come una foglia morta,
o vuota bacca di dente di leone, e fosse spazzato via,
per poterti ritrovare,
sola.


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DARE UN VOLTO ALLE COSE (16): Il volto e l’oltre in Bergman, narratore moderno.

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GUIDO ARISTARCO, Il volto e l’oltre in Bergman narratore moderno, Cinema Nuovo, maggio-giugno 1990

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DARE UN VOLTO ALLE COSE (15): Il segreto del nostro volto.

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TULLIO PERICOLI e UMBERTO GALIMBERTI
intervistati sul segreto del nostro volto.

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CAMMINARSI DENTRO (122): Oltre il mero vissuto. Oltre l’indecidibile. Oltre il frammento.

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Che cosa significa «movimento verso se stessi»?

Io sono il soggetto che deve mettersi in movimento e nello stesso tempo la meta di questo movimento: sono (come) un altro.

Non è mera introspezione, esame di coscienza quello che si richiede: ascoltarsi vivere è lavoro di interpretazione non solo di stati d’animo e di corpo.

Non fa testo solo ciò che affiora spontaneamente alla coscienza, ciò che si afferma, ciò che si accampa sulla scena: ricercare effetti di senso e (ri)costruzioni fantastiche di fatti e di esperienze vissute è ancora solo registrazione di dati di coscienza.

Tutto ciò che giace al fondo nella forma del frammento è materia non ancora sottoposta al lavoro del metodo che dà forma e senso alle cose.

Il lavoro del concetto, tuttavia, non esaurisce l’oggetto. Non un sapere scientifico si afferma – non è compito della logica, impegno della mente che misura e che calcola -: un sapere dell’anima è ciò che si richiede per afferrare la realtà dell’anima.

Il sé a cui tendo è alle mie spalle, è storia e carattere.

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CAMMINARSI DENTRO (121): Questo è il migliore dei mondi possibili.

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Nostalgia del padre? E a che scopo? Per lenire ferite private?

Io ho avuto un padre. Egli mi ha riconosciuto. Io l’ho riconosciuto. Egli mi ha amato sempre. Io l’ho amato sempre. Egli era pieno di difetti. Io piangevo da solo e mi dicevo: «Tanto, io ti voglio bene lo stesso!». Così mi sono salvato. I figli che non sono capaci di fare altrettanto non sono figli: si limitano ad usare i loro padri come bancomat. Per correre a sbronzarsi di nascosto.

Oggi sembra che non si possa parlare di padri. Sento solo dire che sono assenti. (Le madri si separano dal padre, si impossessano del figlio, assumono l’esclusiva della sua educazione, ostracizzano il padre, che deve rinunciare alla sua voce; mettono a tacere le ragioni del padre, con il quale non concordano l’educazione dei figli; ricorrono al ricatto degli affetti per ergersi a fonte esclusiva dell’amore: chi più di loro comprende il figlio che esse sole hanno generato? La separatezza è la fonte dell’errore, della distanza tra padri e figli; è la causa del loro disagio, del disorientamento morale, del venir meno della capacità di dare senso alla vita.) La putrefazione morale di questa civiltà senza legge, senza principi, senza futuro può fare bene a meno dei padri.

Il modello materno-infantile del consumismo è tutto. L’anima è malata di questa voluttà. Aspira a comprare, a spender soldi. Dovunque io vada, scopro che il denaro cura tutti i mali, tranne il cancro. Anche l’amore avanza solo se ben sostenuto da significative quantità di euro.

A questa società che si accontenta di piccoli orgasmi televisivi vorrete proporre sacrifici e rinunce? E a che scopo? Per renderla migliore? E’ già migliore. E’ ottima.

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