[Post ‘in costruzione’]
EMPATIA E KAIRÓS. – L’empatia è quella capacità di intendere l’altro al di là della comunicazione esplicita, di cui tutti si ritengono forniti, soprattutto quelli che si fidano ciecamente della loro “prima impressione”, senza neppure sospettare che con la prima impressione si viene a conoscere non tanto l’altro, quanto, appunto, la propria impressione cioè l’effetto che l’altro ha fatto su di noi, che non siamo specchi cristallini, ma vetri deformati dalla nostra vita e dalla nostra esperienza, per cui, dalle nostre impressioni è più facile ricavare chi noi siamo e non tanto chi è l’altro.
L’empatia mette in gioco spazio e tempo, in quella “giusta distanza” che impedisce all’amore di travolgere e all’indifferenza di raggelare. Empatia vuol dire “giusto tempo”, perché dove è in gioco il dolore (ma anche l’amore) ciò che conta non è la verità, che gli psicologi chiamano “diagnosi”, ma il tempo della sua comunicazione, che non deve essere né anticipato né ritardato.
Anche per questo i Greci avevano una parola: kairós, il tempo opportuno, il tempo debito, il tempo dove la parola si incontra con l’ascolto senza fraintendimento in quella giusta coincidenza che la lunga frequentazione rende possibile e che conduce alla scoperta dell’irripetibilità dell’individuo come intersezione di piani spazio-temporali imprevedibili, nonché al senso di un accadere infondato, rivelato dal caso e intuibile nell’istante come kairós terreno, «tempo debito» di ogni cosa e di ciascuno, ritaglio temporale che ci viene offerto in dono, e dove la nostra quotidiana esperienza può trovare un’occasione per tornare a manifestarsi.
UMBERTO GALIMBERTI
Alla base del colloquio di motivazione che contraddistingue il lavoro sociale nei Centri di ascolto c’è la relazione d’aiuto, il legame che si struttura nel tempo assumendo le forme di una vera e propria alleanza ‘terapeutica’. L’interesse che suscita il colloquio non è da ricercare nelle tecniche adottate per esso da psicologi, psicoterapeuti, counselor, psichiatri, psicoanalisti. Lo spazio linguistico che è in grado di generare ogni essere umano che riesca a stabilire un contatto emotivo e a parlare con un altro è il nostro oggetto precipuo.
La dimensione temporale è una risorsa a disposizione dell’Operatore, di cui si servirà nei modi che gli sono consentiti dalla sua situazione e dal suo stile educativo.
Io credo che al di là dei profili professionali, delle competenze acquisite, dei titoli e delle conoscenze contino le capacità personali, le doti umane, la sensibilità, la capacità di attivare gli strati profondi della sensibilità. E in assenza di titoli scientifici e terapeutici, è bene riconoscere la qualità delle cure non formali, su cui la scuola di Folgheraiter e la casa editrice Erickson hanno prodotto parecchio. 1 [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9] [10] [11]
Don Antonio Mazzi, al riguardo, è convinto che un Educatore adulto sia la persona «capace di non fare del titolo terapeutico il titolo principale»: è ottimista, positivo, autoironico; vive e valorizza il quotidiano; trasforma i suoi limiti in occasioni per misurare quanta strada debba compiere ancora; supera le formule e i ruoli; è capace di navigare a vista, quando è necessario; vive accanto all’altro, considerando il mistero che è in lui; scende dal sicomoro. Per lui, la maturità personale è la fine dell’effimero. I tratti di personalità impegnati nel lavoro di ascolto sono, per me, interamente riconducibili alla dimensione pubblica dell’Educatore. Lo spazio per eccellenza in cui essa vive è la temporalità della coscienza. Nella relazione d’aiuto si costruiscono insieme narrazioni.
Sicuramente, la riflessione di Giacomo Marramao sul Tempo è giunta a un punto alto, un autentico compimento, con il recente volume, La passione del presente (Bollati Boringhieri, 2008), che contiene il capitolo decisivo per me, in cui il ‘tempo debito’ (ο κρόνος καιρός) è finalmente definito come ‘istante critico, risolutore e fecondo’, «figura che rinvia alla “qualità dell’accordo” e della mescolanza opportuna di elementi diversi»: «… forse proprio l’idea del tempus-Καιρός, del tempo debito della “temperanza” e della “miscela propizia”, dell’incontro e della tensione feconda tra energie e potenze diverse, è in grado di restituirci il senso del nostro ritaglio evolutivo e, con esso, della grammatica delle nostre forme di vita».
Il capitolo 5 – Presente. Simbologia del Καιρός e sindrome della fretta (pp.89-107) – de La passione del presente. Breve lessico della modernità-mondo riassume felicemente la riflessione su ‘tempus’ avviata con Καιρός. Apologia del tempo debito (Laterza, 1992).
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[ da GIACOMO MARRAMAO, La passione del presente, BOLLATI BORINGHIERI EDITORE 2008
Costellazioni
5. Presente – Simbologia del Καιρός e sindrome della fretta:
– il “punto giusto” per una ferita mortale, come già in Omero
– il “momento adatto”, come in Pittaco
– la ‘potenza’ ed ‘efficacia’ combinata ai criteri di “armonia” e “misura”, come in Gorgia
– il carattere “verginale”, associato dai Pitagorici alle virtù del numero 7 (scena influente da cui direttamente discende la figurazione antropologica del Καιρός come un adolescente shivo a qualsiasi possesso)
– e infine – last, not least – l’istante critico, risolutore e fecondo. (pag.90)
Lungi dal risolversi nel significato di “momento istantaneo” o “occasione” – secondo la ricezione protomoderna sopra ricordata [a cui si rinvia] – Καιρός viene così a designare, al pari di tempus, una figura stratificata e oltremodo complessa della temporalità: figura che rinvia alla “qualità dell’accordo” e della mescolanza opportuna di elementi diversi – esattamente come il tempo atmosferico. […]
… forse proprio l’idea del tempus-Καιρός, del tempo debito della “temperanza” e della “miscela propizia”, dell’incontro e della tensione feconda tra energie e potenze diverse, è in grado di restituirci il senso del nostro ritaglio evolutivo e, con esso, della grammatica delle nostre forme di vita. (pp.93-94) ]
[ Il sito ufficiale di Marramao; la sua videointervista sull’universalismo della differenza ]
[ Immagine del Καιρός di Lisippo e sua descrizione ]
[ Da Wikipedia: A Traù (l’antica Tragurium romana), Croazia, nel convento delle suore benedettine, c’era uno straordinario bassorilievo che rappresentava il Kairos dal III secolo a.C., vi era raffigurato un giovane nudo, che correva. Il bassorilievo ora si trova al Museo Municipale di Traù. Secondo i greci antichi, Kairos era il dio del “momento passeggero”, di “un’opportunità favorevole che opponeva il fato all’uomo”. Il momento deve essere afferrato (dal ciuffo di capelli sulla fronte della figura fuggente); altrimenti il momento è andato e non può essere ri-catturato (ciò è indicato dalla parte posteriore della testa che è calva.) Una statua di bronzo conosciuta in letteratura, fatta dal famoso scultore greco Lisippo da Sikyon, fu probabilmente un modello per il bassorilievo. Kairos è descritto nei versi del poeta Posidippo. La statua allegorica originale di bronzo fatta da Lisippo era collocata a casa sua, nell’Agora dell’ellenica Sikyon, ed era scolpito sulla statua di Kairos il seguente epigramma di Posidippo:
“Chi era lo scultore e da dove veniva? Da Sikyon.
Come si chiamava? Lisippo.
E chi sei tu? Il Tempo che controlla tutte le cose.
Perché ti mantieni sulla punta dei piedi? Io non corro mai.
E perché hai un paio di ali sui tuoi piedi? Io volo con il vento.
E perché hai un rasoio nella mano destra? Come segno per gli uomini che sono più pungente di qualsiasi bordo pungente.
E perché hai dei capelli davanti al viso? Per colui che mi incontra per prendermi per il ciuffo.
E perché, in nome del cielo, hai la parte posteriore della testa calva? Perché nessuno che una volta ha corso sui miei piedi alati lo faccia ora, benché si auguri che accada, mi afferra da dietro.
Perché l’artista ti ha foggiato? Per amor tuo, sconosciuto, e mi mise su nel portico come insegnamento”. ]
EMPATIA. Capacità di immedesimarsi in un’altra persona fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo. Il termine è stato introdotto dall’estetica romantica con J.G. HERDER e NOVALIS, che lo impiegarono per spiegare la risonanza interiore degli oggetti estetici. T.LIPPS tentò di spiegarlo con i processi di imitazione e proiezione per cui ci «si sente» nell’oggetto o nella persona in cui ci si immedesima, pur conservando la coscienza della propria identità come identità separata. Il concetto è stato ripreso da K.JASPERS e utilizzato per distinguere la comprensione empatica dalla comprensione razionale: «Quando nella nostra comprensione i contenuti dei pensieri appaiono derivare con evidenza gli uni dagli altri, secondo le regole della logica, allora comprendiamo queste relazioni razionalmente (comprensione di ciò che è stato detto); quando invece comprendiamo i contenuti delle idee come scaturiti da stati d’animo, desideri e timori di chi pensa, allora comprendiamo veramente in modo psicologico o empatico (comprensione dell’individuo che parla)». L’empatia richiede un assetto recettivo che consenta, come dice G.H.MEAD, di «entrare nel ruolo dell’altro» per valutare il significato che la situazione che evoca l’emozione riveste per l’altra persona, nonché l’esatta interpretazione verbale e non verbale di ciò che in essa si esprime. C.R.ROGERS ha studiato l’importanza dell’empatia nel rapporto terapeutico, in cui la comprensione non avviene a livello «gnosico» ma «patico», dove determinate emozioni che non appartengono ai propri vissuti possono essere valutate per estensione delle proprie esperienze. Là dove non si dà un’esperienza comune, come nel caso del delirio o di numerose patologie psichiatriche, risulta difficile stabilire un’empatia e questa difficoltà è spesso assunta a livello diagnostico come criterio per distinguere una nevrosi da una psicosi. A proposito dell’empatia esistono due interpretazioni:
1. L’INTERPRETAZIONE FENOMENOLOGICA. – Alla base dell’empatia è rintracciabile quella condizione esistenziale che è l’essere in un mondo comune (Mitwelt) a partire dalle prime esperienze di natura puramente emozionale dove, come scrive M.SCHELER, «l’uomo vive più negli altri che in se stesso, più nella collettività che come singolo individuo» per cui buona parte delle componenti di fondo che sono alla base della struttura comunicativa hanno la loro radice in quell’originaria possibilità comprensiva che si esprime nella simpatia. Scheler, infatti, critica il concetto di empatia perché, a suo parere, «lo stato affettivo di B, implicito nella pietà che io ne provo, resta per me lo stato affettivo di B: non passa in me che lo compatisco, e non produce in me uno stato simile o uguale». Anche Mead, forse seguendo Scheler, parla sempre di simpatia, ma con questo termine intende immedesimazione in un’altra persona, e quindi propriamente: empatia.
2. L’INTERPRETAZIONE PSICOANALITICA. – S. FREUD tratta l’empatia come sinonimo di immedesimazione: «L’immedesimazione (Einfühlung) è oggi più spesso designata con il termine “empatia” (ingl. empathy)». Fatta questa precisazione terminologica, Freud scrive che «dall’identificazione parte la strada che, passando per l’imitazione, giunge all’immedesimazione, ossia all’intendimento del meccanismo mediante il quale ci è comunque possibile prender posizione nei confronti di un’altra vita psichica». Questa presa di posizione è per Freud una sorta di intuizione che consente di accedere a quei campi e a quei processi della vita psichica dell’altro estranei alla propria esperienza diretta. Sull’opportunità di differenziare le intuizioni dall’empatia è intervenuto R.R.GREENSON per il quale l’empatia comprende sensazioni, affetti e impulsi, mentre l’intuizione è una «ripro-duzione di immagini mentali», per cui «l’intuizione mette insieme gli elementi probanti afferrati per empatia» Questa differenza è rintracciabile anche nella distinzione introdotta da A.GASTON tra «comprensione empatica» e «intuizione empatica». (dal Dizionario di psicologia di Umberto Galimberti, UTET 1992)