La scelta di don Antonio di chiamare Mattutini la sua opera più recente e più importante suona felicemente antimoderna, ma per niente nostalgica. Non contiene l’elogio della città antica, come nel Dante del XV del Paradiso, dove l’elogio di Firenze antica poggia quasi per intero sull’esaltazione della campanella che diffondeva nell’aria il suono delle ore canoniche: era il «tempo della Chiesa» a cui sempre più si opponeva ormai il «tempo del mercante» (J. Le Goff).
Se è stato detto, anche per questo, che il poema di Dante è il canto del cigno della civiltà feudale al tramonto (A. Gramsci), di nessun passato glorioso e incontaminato vorremmo essere con don Antonio vessilliferi.
Interamente conficcata nel presente, la realtà di Exodus è dimensione educativa, preoccupata certo delle derive del tempo, ma impegnata nel presente a testimoniare la possibilità di una vita migliore.
A noi preme qui sottolineare il fatto che l’ora canonica chiamata Mattutino sia prediletta da don Antonio a significare per noi la volontà strenua di tenersi comunque appartato nella sua dimensione religiosa, nella pratica della preghiera. Forse, egli cerca di dirci che tutto quello che ha fatto assieme a noi negli ultimi venticinque anni non è stato altro che preghiera. Egli non ha fatto altro che perdonare e ringraziare.
Il volume dei Mattutini ha un secondo titolo: Orme sui Mattutini. In fondo al volume, la prima di una serie di immagini è dedicata alle orme. Essa ripropone nella parte bassa la foto di impronte umane sulla sabbia (il cammino terreno?) e nella parte alta impronte che escono dalla foto per perdersi nella parte bianca della pagina, verso l’alto (il cammino ultraterreno che lo attende?). «Comunque vada… ci sarò!!!» : egli non ci abbandonerà.
Se l’ufficio del Mattutino fa pensare alle ore insonni durante le quali egli ha scritto – ha meditato e ha pregato -, ciò che l’opera sembra dirci è questo: cercate nel tempo dell’anima la vostra salvezza, non nelle ore feriali del lavoro e degli affanni mondani. Siate come la sentinella che veglia sul sonno dei fratelli. Anticipate il giorno (la sua quarta Beatitudine: Beati quelli che fanno prevenzione?). Fate come il monaco pio che approfitta del silenzio della casa: sia tutta la vostra vita un raccolto meditare e pregare, perché più fruttuose siano le ore del lavoro.
Come il monaco impegnato nella veglia, assorto nei Salmi, don Antonio ci parla dai suoi Mattutini, dalle ore e dagli uffici notturni, senza allontanarsi mai da noi: in realtà, non è mai stato lontano. Infatti, in fondo all’opera scrive: Compagni di viaggio, e nel numero dei suoi compagni ci sono i canti che abbiamo cantato insieme; in apertura, il testo letto da Walter Drusetta – a nome di tutti i suoi Educatori – in Santa Maria delle Grazie a Milano: questa presenza significa chiaramente che la prima ‘orma’ è quella che noi abbiamo lasciato nel tempo, camminando assieme a lui. Il suo non è stato un cammino solitario. Non era una avanguardia aristocratica, detentrice di un sapere iniziatico. Era (è) padre. Giustamente, oggi manda avanti i suoi figli. Ad essi chiede di lasciare l’impronta del cammino fin qui tracciato.